venerdì 30 novembre 2007

In incipit

Il 30 novembre 1983 Roberto Baggio, straordinario esemplare calcistico, segna la sua prima rete ufficiale da professionista a tre minuti dallo scadere dei tempi supplementari nel ritorno dei sedicesimi di finale di Coppa Italia serie C in Legnano-Vicenza. La gara termina 4-1 per il Vicenza. Baggio ha realizzato in carriera 318 reti ufficiali: 205 in serie A (il quinto marcatore di sempre), 36 in Coppa Italia, 27 in Nazionale (56 presenze e tre Mondiali disputati), 17 in Coppa Uefa, 13 in serie C1, 9 in Coppa delle Coppe, 5 in Coppa dei Campioni, 2 nello spareggio Champions League, 1 in Coppa Italia di serie C, 1 nella Supercoppa italiana, 1 nello speraggio Coppa Uefa e 1 in Intertoto.
Il Divin Codino ha vinto due titoli nazionali italiani (Juventus 1995, Milan 1996), una Coppa Italia (1995) e una Coppa Uefa (1992), oltre al Pallone d'oro nel 1993.

martedì 27 novembre 2007

C'era una volta un re

Il 27 novembre 1994, trasformando all'Artemio Franchi un calcio di rigore al 15' della ripresa contro la Sampdoria, Gabriel Omar Batistuta va in rete con la maglia della Fiorentina per l'undicesima giornata consecutiva di serie A: è record per il campionato italiano. Batistuta, nella stagione 1994/95, aveva già segnato a Firenze contro Cagliari (prima giornata), Cremonese (due reti), Lazio, Padova e Bari; in trsferta contro Genoa, Inter, Reggiana (due reti), Brescia e Napoli (due reti). La striscia del Bati s'interrompe il 4 dicembre al Delle Alpi di Torino, dove la Fiorentina viene sconfitta dalla Juventus per 3-2 dopo essere stata in vantaggio di due reti. È Alessandro Del Piero, con un gol capolavoro, a firmare la vittoria in rimonta della Signora. Al termine della stagione le reti saranno 26.
Per Batistuta nove anni (dal 1991 al 2000) in maglia viola (173 reti in 270 presenze) una Coppa Italia (1995/96) e una Supercoppa Italiana (1996). A Roma, sponda giallorossa, 63 presenze in due anni (2000/02), 30 gol, un titolo nazionale (2000/2001) e una Supercoppa Italiana (2001). Una sola stagione all'Inter (2002/03, 12/2).
In Argentina, tra il 1988 e il 1991, ha vestito le maglie di Newell's Old Boys, River Plate (titolo nazionale di clausura nel '90) e Boca Juniors (complessivamente 20 reti in 65 presenze).
Ha concluso la sua carriera calcistica nel 2005 in Qatar, segnando 25 reti in 28 presenze con l'Al-Arabi di Doha.
Con l'Albiceleste 78 presenze e 56 reti (miglior marcatore di sempre) due Copas America (1991 e '93) e una Confederations Cup nel 1992.
Il 26 novembre 2000 ha segnato in maglia romanista la rete della vittoria sulla Fiorentina al Franchi. La sua delicata commozione subito dopo la rete realizzata ricordò le lacrime di Roberto Baggio, che alla prima a Firenze nelle file della Juve si rifiutò di battere un calcio di rigore, poi fallito da Antonio Conte, o quelle di Manuel Rui Costa -O Maestro- che nel dicembre 2001 (pochi mesi dopo il suo sofferto addio a Firenze) in occasione di Fiorentina-Milan si commosse davanti al suo vecchio armadietto del Franchi, in visita allo spogliatoio avversario pochi minuti prima dell'incontro.

sabato 24 novembre 2007

Azzurro tenebra

Possiamo definirla senza mezzi termini la "riscoperta dei classici" della letteratura sportiva. La prossima settimana uscirà, per i Tipi della Graphot, la riedizione dell'introvabile Azzurro tenebra di Giovanni Arpino, giornalista-scrittore scomparso nel 1987. Uscito esattamente trent'anni fa, il libro parla della disastrosa avventura azzurra al Mondiale 1974. Molto atteso dai cultori del genere, è considerato una pietra miliare della narrativa sportiva poichè per la prima voltà elevò il calcio a tema e sfondo di un'opera di alto livello letterario.
Oltre al romanzo di Arpino, la "riscoperta" passa soprattutto attraverso la recente riedizione di tre libri di Gianni Brera: per Baldini e Castoldi Dalai sono usciti Derby! e La Ballata del pugile suonato. Per Rizzoli, invece, Il più bel gioco del mondo. Scritti di calcio 1949-1982. Dedicata a Brera, ma stavolta dei giorni nostri, è l'autobiografia Un lombardo nel pallone (ExCogita), già portata in scena a teatro da Piero Mazzarella.

Andrea Parodi, Sportweek, anno VIII, n. 45 (380), 24 novembre 2007.

mercoledì 21 novembre 2007

Galeotta fu la figurina

...e chi vi era rappresentato

di Andrea Garnero
Correva la stagione 1989/90 e a quei tempi credo che frequentassi la seconda elementare. Era il tempo dei primi calci al pallone nei corridoi o fra i banchi di scuola, le prime partitelle al parco sotto casa con quelli che sarebbero poi diventati i tuoi amici, il tempo in cui cominciavi a sentire che nella tua vita era giunto il momento di costruire qualcosa d’importante per il tuo futuro, appassionarti a qualcosa, amare una squadra di calcio.
Correva la stagione 1989/90 e mio padre, fiero interista, cominciava a parlarmi della sua squadra. Con la scusa della mia giovane età e della mia “ignoranza” calcistica, si faceva consegnare dalla ditta presso cui lavorava biglietti gratis (un tempo si poteva ancora, ora non più perché ci sono i “mitici” tornelli) per le partite dell’Inter. Esistono foto in casa mia, incollate su più album, in cui sono ritratto brandendo la bandiera dell’Inter con indosso cappello e sciarpa nerazzurra. Mi piaceva San Siro, era enorme per me, gigantesco, mi faceva più paura da dentro che da fuori.
Correva la stagione 1989/90 e un giorno a scuola, sfogliando diversi album delle figurine Panini dei miei compagni di classe (quelli veri in cui non esistevano pagine dedicate al mercato di gennaio e la foto ufficiale della squadra era divisa in due parti e bisognava prestare massima attenzione quando univi i due pezzi, per non rovinare la tua squadra del cuore, ma non solo), tra un celo e un noncelo scambiai, con il mio amico Cine, un giovanissimo Filippo Galli con un altrettanto imberbe Diego Fuser. Tale Fuser era l’ultima figurina che mi permetteva di completare le due pagine di una squadra che fino a quel momento avevo solo sentito nominare a scuola ma mai in casa: il Milan. Perlopiù eravamo in quattro a parlare di calcio: due milanisti, un napoletano e il sottoscritto. Loro parlavano, parlavano, parlavano, delle gesta dei loro eroi.
Correva la stagione 1989/90 e a quei tempi credo che frequentassi la seconda elementare. Si dice che quando una persona sia in procinto di morire, tutta la vita le scorre davanti agli occhi: sicuramente questo momento che sto per descrivere mi sfilerà davanti. Faceva freddo quel giorno, ero compagno di banco di un milanista, dietro di me erano seduti il secondo milanista (Cine) e il napoletano. A un tratto Cine mi chiese se fossi sicuro di voler dedicare la mia vita intera all’Inter (non con queste parole perché eravamo in seconda elementare, il concetto però era quello) e io rispondendo dissi: voglio tifare a vita per una squadra vincente. Allora estrasse dal suo astuccio dei Masters due penne Bic, una rossa e una nera, e dalla cartella (non dallo zaino, dalla cartella) tirò fuori invece il “pacco” delle figurine doppie. Tolse l’elastico, le sfogliò velocemente e prese due figurine: una di Marco Van Basten, l’altra di Diego Fuser. A questo punto, come si conveniva ai tempi dei sani e vecchi princìpi cavallereschi, mi benedisse toccandomi sia sulle spalle che in fronte con le due penne, mi costrinse a baciare entrambe le figurine mentre pronunciava: «Io ti battezzo nel nome di Marco, Ruud e Frankie. Da ora in poi, sarai sempre tifoso del Milan». Al termine della “funzione”, Cine mi volle regalare una figurina, “purtroppo” mi diede quella di Fuser. La cosa mi piacque ma non mi resi completamente conto di quello che io e il mio amico avevamo appena compiuto. Certo è che quando la sera mio padre tornò a casa, dopo avergli spiegato l’accaduto, mi deve aver detto parole simili: «Da oggi in avanti io e te, calcisticamente parlando non siamo più parenti», perché ogni tanto questa frase la ricorda sempre.
Non so se ho fatto bene a seguire il mio amico, invece della fede di mio padre. Certo è che calcisticamente parlando per noi milanisti questi sono stati i migliori anni della nostra vita.
Ripenso spesso a quel momento. A volte ne parlo con Cine stesso seduti a un tavolo davanti a una birra oppure in piedi fumando una sigaretta fuori dal Murphy’s e ridiamo, ridiamo, ridiamo…
I tre olandesi con i quali sono stato battezzato non li ho mai visti giocare dal vivo, perché da quel giorno mio padre non mi ha più portato allo stadio. Delle loro imprese ho appreso in questi anni grazie alla televisione e alle vhs. Per capire cosa volesse significare Mediolanum, ai tempi sponsor ufficiale dei Ragazzi, ho dovuto aspettare la IV Ginnasio, per capire dove si trovasse l’Olanda geograficamente parlando, la III elementare. Per capire quale sia la differenza tra Campionato Europeo e Campionato Mondiale, forse sto impiegando tutta la vita.
Un giorno, magari proprio Cine, l’artefice della mia fede, mi spiegherà tutto questo e la nostra passione. Per il momento, nei momenti amarcord apro uno dei tanti cassetti della mia camera e mi commuovo davanti alla figurina di Diego Fuser.

martedì 20 novembre 2007

Estrella Celeste

Il 20 novembre 1901 nasce a Montevideo Josè Leandro Andrade, il calciatore uruguaiano più celebre e la prima stella internazionale della storia del calcio.
Andrade, primattore della Celeste nella prima metà del secolo scorso (31 presenze), ha vinto il primo titolo mondiale (1930), tre Coppe America (1923, 1924, 1926) e gli ori olimpici di Parigi 1924 e Amsterdam 1928.
In Uruguay Andrade ha indossato le maglie di Bellavista (1923/25), Nacional Montevideo (1925/30), Penarol (1930/32, un titolo nazionale) e Montevideo Wanderers (1932/1933). Nel 1932 ha anche disputato un campionato di clausura in Argentina con l'Atlanta di Buenos Aires.
Calciatore dalla perfetta lettura di gioco in fase sia di contenimento che d'impostazione, Andrade è considerato il primo grande regista difensivo della storia del calcio capace di imporsi grazie alla sua cifra tecnica di eleganza ai tempi inarrivabile ma anche per una prestanza atletica al di sopra delle parti. Mediano atipico, la Maravilla Nigra colpiva spesso i palloni in movimento e di 'mezza altezza' (altrimenti difficilmente controllabili) facendo perno sul terreno di gioco con un braccio: un unicum nella storia del calcio mondiale.
Andrade è morto a Montevideo il 5 ottobre 1957.
Secondo voci dal riscontro non del tutto attendibile, Andrade avrebbe subito da adolescente diverse vicissitudini a sfondo razziale (unico calciatore di colore del suo tempo) che ne tardarono l'ascesa calcistica; rimasto gravemente leso all'occhio sinistro durante la semifinale olimpica di Amsterdam nel 1928 contro l'Italia, le sue condizioni di vista sarebbero peggiorate fino alla pressochè completa cecità; sarebbe morto dimenticato, alcolizzato e in miseria. Secondo autoimposta istanza di non intromissione, io preferisco figurarlo mentre educa con grazia e dedizione un pesante pallone di cuoio scuro. Siempre en el vestir con celeste camisa.

lunedì 19 novembre 2007

Dell'Italia e di altre storie

Istantanee di un finesettimana calcistico da ricordare: magno gaudio per l'Italia, qualificata agli Europei della prossima estate senza l'impellente necessità di infierire sulle simpatetiche isole Far Oer mercoledì al Braglia di Modena. Rete propiziatoria di Toni al primo minuto di gioco ma niente vallo adrianeo perchè, consci dell'inesausto furore scozzese, gli azzurri si cimentano con dedizione in una convinta e insistente ricerca della seconda -più volte sfiorata- segnatura. Ma Ferguson pareggia in mischia e i gloriosi spiriti druidi e gaelici calano gelidi dalle Highlands sull'angustiata stirpe italica, sotto forma di fremiti catodici. Ma Marte è propizio, e con una rete a tempo scaduto di Panucci del tutto contestabile ma non per questo immeritata, Italia victrix per la prima volta nella sua storia calcistica ad Hampden Park.
Israele ha sconfitto la Russia 2-1 al Ramat Gan di Tel Aviv. Alla rete iniziale di Barak Itzhaki, risponde Bilyaletdinov al 60'. Nell'ultima mezzora accerchiamento russo alla porta di Awat: Il nemico è alle porte, ma all’ultimo minuto regolamentare Dmitri Sychev fallisce il match-ball centrando il palo esterno della porta israeliana, ribaltamento di fronte e Golan, da poco entrato nelle file israeliane, si libera in area avversaria e supera Gabulov. Così all'Inghilterra mercoledì occorrerà un solo punto contro la Croazia già qualificata (e sconfitta sabato dalla Macedonia 2-0 a Skopje, con due reti di Goran Maznov): grazie agli israeliani per aver raccolto il nostro preoccupato monito, stillato dall'infelice congettura di un Europeo di calcio senza gli stimatissimi inglesi (Steve McClaren dichiara in conferenza stampa: «I couldn't watch the last 10 minutes. I had actually slipped to the bathroom. My sons had a big cheer when Israel scored and I thought it was actually the end of the game». Che meraviglia!).
L'Irlanda del Nord vince a Windsor Park di Belfast, eliminando la Danimarca dalla corsa qualificazione. David Healy segna la rete del 2-1 finale, 13esima personale in queste qualificazioni: è primato.
A Spagna e Svezia basterebbe un pareggio di non belligeranza ma il Santiago Bernabeu è gremito e così niente patta: l'ammirevole roja incanta e vince 3-0 con reti di Capdevilla, Iniesta e Ramos.
L'impresa del giorno è della Turchia nell'inedita versione frangiflutti all'Ulleval di Oslo. Norvegia avanti con acrobazia di Hagen, Emre Belozoglu pareggia al 31' e Nihat (giocatore delizioso, massimo artefice del miracoloso secondo posto della Real Sociedad in Liga nella stagione 2002/03) segna nella seconda frazione l'1-2 definitivo. Se la Turchia mercoledì supererà la Bosnia-Erzegovina all'Ali Sami Yen di Istanbul, sarà ancora Fatih Terim II, imperatore Hackab di Persia.
Notizie d'oltreoceano: l'Argentina consolida il primato nel girone unico di qualificazione ai Mondiali di Sud Africa 2010, vincendo al Monumental 3-0 sulla smilitarizzata Bolivia con due reti di Riquelme (un grande plauso per el mudo, sempre a segno in albiceleste nonostante l'inattività forzata tra le porcellane di Villareal: campione da salvare) e gol iniziale di Aguero.
A Montevideo Uruguay e Cile pareggiano 2-2: padroni di casa avanti con Suarez, poi è maravilla roja: Centenario adibito a Plaza de toros; alguacilillos, cuadrillas, picadores e banderilleros cileni, entra el matador Marcelo Salas e segna due reti. Orgullo celeste e pareggio finale di Abreu all'81'.
Passerella finale dal Perù per Ricardo Izecson dos Santos Leite, demiurgo ex nihilo, forza ordinatrice, delizia per gli occhi: ultimo capolavoro al minuto 40 feita em Lima. Ma la blanquirroja pareggia al 30' con Vragas, patrocinata dalle alchimie stregoniche degli sciamani andini di Cusco, e nonostante i loro sincretici voodoo, Kakà e Ronaldinho escono dal campo sulle loro gambe, deo gratia e buona pace di tutti.

venerdì 16 novembre 2007

O cigano Ricardo

Ha spezzato e poi deluso talmente tanti cuori che oggi sembra quasi impossibile sostenere che sì, finalmente, Ricardo Quaresma, esterno del Porto e della nazionale lusitana, ha messo la testa a posto, che ci si può fidare di lui. Gli innamoramenti e i messaggi teneri (dall’Italia hanno provveduto a inviare missive Inter, Juve e Fiorentina) arrivano in riva all’Oceano Atlantico con una frequenza che non lascia sospetti: Quaresma è pronto a fare la differenza per davvero, e stavolta nessuna ricaduta. Le uscite con il nuovo Porto di Jesualdo Ferreira hanno levato parecchi dubbi su un giocatore che dal punto di vista tecnico e fisico illumina l’élite mondiale. L’ultimo salto di qualità, quello mentale, quello decisivo, l’ha ottenuto quest’anno. Questa storia del carattere difficile Quaresma se l’è sempre portata dietro. Laszlo Boloni che lo lanciò in prima squadra allo Sporting lo soprannominava Mustang, come quei cavalli purosangue impossibili da irreggimentare.
Lisbona, Campo de Ourique, vicino Casal Ventoso. Cresce qui il giovane Ricardo Andrade Quaresma Bernardo. Mamma Fernanda e papà Antonio si lasciano presto e Ricardo da giovanissimo va matto per l’hockey a rotelle, ma la sua prima figura di riferimento, il fratello maggiore Alfonso, è pazzo di calcio e nel quartiere è già una star del piccolo Desportivo Domingos Sávio. L’ammirazione di Ricardo per Alfredo rimane ancora oggi sconfinata: «vieni con me che ti faccio giocare!», e l’invito del fratello è un ordine nel cuore di Quaresma, così il Domingos Sávio aggiunge un nuovo attaccante e i pattini e il karate, altra passione del giovane, perdono un praticante che, dato il fisico, poteva venire fuori buono. Due volate nei campi polverosi e subito lo Sporting Lisbona, la squadra del più celebre vivaio portoghese, lo porta a casa, Quaresma ha otto anni. Tutto bene, no? Neanche per sogno. La figura paterna che non può essere presente pesa profondamente sull’infanzia di Ricardo: i celeberrimi tram della capitale portoghese accolgono le sue lacrime: «tutti i genitori venivano a prendere i propri figli, gli chiedevano com’era stato l’allenamento, cosa avevano fatto, salivano sulla macchina e se ne andavano. Per me non veniva nessuno, mia madre doveva lavorare continuamente per mettere qualcosa in tavola. Io rimanevo lì, poi me ne andavo a casa coi mezzi, da solo, quando mio fratello era impegnato nelle categorie maggiori e non aveva i miei orari. Il groppo alla gola lo scioglievo solo quando se n’erano andati tutti. Lo trovavo profondamente ingiusto, mi chiudevo in me stesso ed ero arrabbiato col mondo». Il papà di Quaresma è di origine zingara e Ricardo è sempre andato fiero di questa sua 'diversità' culturale, sempre sottolineata come una sua ricchezza. O cigano, un altro dei suoi soprannomi, è fiero. Mai ammette o ammetterà qualche battutina pesante nei suoi confronti: l’orgoglio gli fa dire che il Portogallo andrebbe meglio se fosse governato da zigani. Adesso è pieno d’oro, ha una serie incredibile di tatuaggi, adotta look spregiudicati, ha raggiunto uno status che lo lascia indifferente alle paternali di cronisti e osservatori invidiosi del suo successo: «Si vede che sei di origine zingara?» - «Mamma è di origine angolana, anche gli africani amano l’oro, e poi a me piacciono tanto gli orologi». Proprio un fratello di Donha Fernanda (è bianca) era una star dello Sporting Luanda, anche se il nomignolo, cioè il battesimo calcistico dei giocatori nati in paesi lusofoni, viene da un lontano parente già capitano e difensore centrale del Belenenses, la squadra più antica di Lisbona: si chiamava Quaresma, Ricardo ne perpetuerà il nome. Le lacrime sui tram non finiscono, la scuola non ingrana nemmeno un po’, ma sul rettangolo verde Mustang non fa prigionieri: il suo talento rapisce tutti i migliori tecnici, César Nascimento, Osvaldo Silva («quello che mi aiutato di più, un maestro di calcio e di vita», dice oggi l’attaccante), Paulo Leitão e Zézinho. Nelle escolinhas del club biancoverde fa sfracelli. Da infantis gioca due stagioni, realizza 63 gol e si laurea campione nazionale nella stagione 1994/95. Altre due stagioni nella categoria iniciado e altri 38 gol. Nella categoria juvenis ottiene finalmente il suo primo stipendio, 10 mila escudos. La stagione 98/99 è piena di soddisfazioni: vince il campionato anche grazie alle sue 33 segnature. Il passaggio tra gli juniores viene considerato superfluo dai dirigenti del Leone. Quaresma è subito assegnato alla squadra B di Alvalade: è la stagione 2000/01 e Harry Potter, un altro dei suoi nick, esordisce contro l’Olhanense. Viene poi convocato per l’Europeo under 16 di quell’anno: grande torneo e finale con la Repubblica Ceca. 14 maggio 2000, Ramat Gan, Israele: Quaresma decide il match con il golden gol e porta la Selecçao a rinverdire i fasti della Geraçao de Ouro, quella di O rei Manuel Rui Costa e di Luis Figo che ha dominato i tornei giovanili. La stagione 2001/02 è quella dell’aggregazione alla prima squadra, proprio con Laszlo Boloni, quello del Mustang, un altro sbalordito dal talento del diciassettenne che deve allenare. Il contratto che viene sottoposto al suo manager di allora José Veiga (oggi direttore generale del Benfica, come cambia il mondo...) scade nel 2004 ma la società, dopo pochissimo tempo richiama in società il calciatore: sente profumo di grande promessa, il contratto si allunga di un anno e la clausola rescissoria viene fissata in sei milioni di euro: stiamo parlando ancora di un minorenne ma a Lisbona qualcuno ha sbagliato i conti. La trafila tra le giovanili dello Sporting ha dato i suoi frutti, grande tecnica di base e coordinazione ineccepibile; il resto ce lo mette il giocatore che ha una forza fisica, un’eleganza e un’inventiva fuori dal comune. Visto il Paese: un’apparizione. Più di un tifoso, più di un osservatore sentenziarono che era dai tempi di Figo e Futre che non usciva un talento del genere dalle porte dell’Alvalade. Anzi, qui il potenziale è pure maggiore. Sotto i cieli biancoverdi sta sbocciando anche il giovane Cristiano Ronaldo, acerbissimo (ha due anni meno di Quaresma), che Sir Alex Ferguson (per merito di Queiroz, il suo vice) ha già adocchiato. L’estate del 2003 sarà la data di addio alla capitale portoghese per entrambi, chi svolta ad ovest, chi a est: per il Mustang non domato ci sono le praterie catalane ma il fantino sbagliato, Frank Rijkaard. Sei milioni di euro più Rochemback vanno allo Sporting, non un affarone. Incomprensioni con l’olandese fanno pure credere che la cifra sia eccessiva. In blaugrana si rianima il ritornello nato nel secondo anno allo Sporting: bravo, ma non è continuo, gli manca la testa. Parte titolare solo dieci volte in stagione: l’ex centrocampista del Milan, inizialmente innamoratosi, come tutti, diventa perplesso. Non gli piacciono certe attitudini, lo qualifica come cambio e resta un giocatore di complemento, senza fiducia né opportunità importanti. L’infortunio al piede destro verso il finire della stagione, che lo toglie dal ballottaggio per l’Europeo da giocare in casa, è una mazzata tremenda. Intervistato durante quell’estate è categorico, «o se ne va Rijkaard o me ne vado io dal Barça». Opzione B per il presidente Laporta che per arrivare a Deco sacrifica il talento portoghese. Ritorno in Portogallo, stavolta a Nord, per Quaresma. Partenza col botto e coppa Intercontinentale in bacheca. Poi una serie di alti e bassi, nel Porto sconclusionato del post Mourinho e le solite accuse. Scolari ha già costruito la squadra per i mondiali, ma il Portogallo chiede la convocazione di Quaresma per Germania 2006 : il battage mediatico infastidisce il permaloso Felipao che lascia all’under 21 l’attaccante esterno (ruolo, inoltre, decisamente coperto nella Selecçao). Per l'intero 2007 -come detto- è però super Quaresma e in Champions ha l'argento vivo: o cigano è diventato grande.

Articolo pubblicato sul Guerin Sportivo del 12 marzo 2007 e sul blog http://bardelleantille.blogspot.com/ da Carlo Pizzigoni.

mercoledì 14 novembre 2007

Italy live at Wembley

14 novembre 1973. L'Italia, con un gol di Fabio Capello al minuto 86, vince per la prima volta contro l'Inghilterra a Wembley Stadium. Gli azzurri hanno superato i maestri per una seconda volta a Wembley il 12 febbraio 1997 (gol di Gianfranco Zola su tiro deviato da Soul Campbell), in un incontro valido per le qualificazioni ai Mondiali di Francia '98. La terza vittoria dell'Italia in Gran Bretagna è avvenuta il 27 marzo 2002 quando a Leeds, in un test-match pre-Mondiale, gli azzurri vinsero per 2-1 con due reti di Vincenzo Montella.
Nel 1993 il Parma ha sollevato a Wembley la Coppa delle Coppe, superando 3-1 l'Anversa. Nel 1999 la Fiorentina, grazie a una rete di Gabriel Omar Batistuta, ha sconfitto l'Arsenal a Wembley nel giorne eliminatorio di Champions League.
Il 24 marzo 2007 le selezioni under 21 di Inghilterra e Italia inaugurano il nuovo Wembley dopo sette anni di chiusura. Dopo trenta secondi Giampaolo Pazzini segna la prima rete ed entra nella storia del calcio (fu un altro italiano, Roberto Di Matteo, a segnare l'ultima rete prima della chiusura e dell'abbattimento del vecchio Wembley, nella finale di FA Cup del 29 maggio 2000 vinta dal Chelsea sull'Aston Villa per 1-0). Poi l'Inghilterra in vantaggio per due volte con Bentley, Routledge e Derbyshire. La partita termina 3-3 con hat-trick di Pazzini: il pubblico inglese gli riserva la devota standing ovation e il pallone della partita con le firme di tutti i partecipanti finisce in bella esposizione nella casa natale di Pescia, a millecinquecentocinquantanove chilometri dal Tempio.

lunedì 12 novembre 2007

Non è più domenica

di Alberto Santi

Non è più domenica, ma probabilmente non c’è di che preoccuparsi: stiamo soltanto facendo un brutto sogno, un incubo…
Perché solo negli incubi ti accorgi di tombini in ghisa allo stadio, bambini spaventati in lacrime e gente che sconsolata abbandona lo stadio ancor prima dell’inizio della partita. La cosa che più mi preoccupa è che da qualche anno a questa parte non abbiamo più avuto una notte tranquilla, soltanto una piccola illusione chiamata Berlino e niente più.
Non è più domenica: calciopoli, scommesse, tifoserie assalite e assalitrici, polizia in fuga, città che bruciano, campionati che si fermano, trasferte negate, striscioni vietati, stadi chiusi, controlli anti-terroristici, monete sugli arbitri, seggiolini in campo, risse tra giocatori e tante parole buttate al vento. Le parole di chi è a capo di questo calcio che non mi sento piu di chiamare gioco, perchè in quale gioco sono gli spettatori a deliberare come finirà la partita? Prima il pubblico guardava e i calciatori erano gli unici protagonisti, adesso gli spettatori i protagonisti e i calciatori a guardare sconsolati. Guardano quel pallone che si sgonfia pian piano senza più gonfiare la rete.
Da quando Pizzul non commenta e Baggio non gioca più...
Non è più domenica! Non è più calcio!

domenica 11 novembre 2007

In memoria di Gabriele Sandri

Povera patria...
Schiacciata dagli abusi del potere
di gente infame che non sa cos'è il pudore,
si credono potenti e gli va bene quello che fanno;
e tutto gli appartiene.
Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni...
Questo paese è devastato dal dolore,
ma non vi danno un po' di dispiacere
quei corpi in terra senza più calore?
Non cambierà, non cambierà,
no cambierà, forse cambierà.
Ma come scusare le iene negli stadi e quelle dei giornali?
Nel fango affonda lo stivale dei maiali.
Me ne vergogno un poco e mi fa male
vedere un uomo come un animale.
Non cambierà, non cambierà,
sì che cambierà, vedrai che cambierà.
Voglio sperare che il mondo torni a quote più normali
che possa contemplare il cielo e i fiori,
che non si parli più di dittature
se avremo ancora un po' da vivere...
La primavera intanto tarda ad arrivare

Franco Battiato

Contro tutti coloro che, con volgare ostinatezza, ritengono che questo sia ancora il prezzo da pagare.

sabato 10 novembre 2007

L'insostenibile leggerezza dell'essere

Paolo Mantovani era diverso dagli altri presidenti, perchè lui si divertiva a farlo.
Sull’aereo, di ritorno dal Belgio dove la Samp aveva perso con il Makelen, ero fra lui e Boskov che ritenevo il responsabile della sconfitta.
«Lo mandi via prima del ritorno, altrimenti non andremo mai avanti in Coppa…» gli dicevo tra il serio e lo scherzoso con Boskov che avrebbe voluto strozzarmi.
E Mantovani replicò: «Guardi Rossi, sono sicuro che passeremo il turno. In tal caso lei cosa è disposto a fare?»
Gli risposi: «Mi metto in ginocchio e dico a Boskov che è il più grande allenatore del mondo…». Boskov intervenne, mi porse la mano e disse: accetto.
Gara di ritorno, vince la Samp per 3-0 e passa il turno.
Mentre sto scrivendo l’articolo per "Il Giorno", arriva Mantovani e mi dice: «Per favore venga con me». Io mi alzo e lo seguo in una saletta del ristorante Edilio dove c’è Boskov che mi aspetta. Io mi ero dimenticato della promessa e Mantovani me la ricorda: «Prego si metta in ginocchio». E mi inginocchiai davanti a Boskov dicendo: «Sei il più grande allenatore del mondo...». Poi champagne per tutti e tre.
Ma era durante il calciomercato che Mantovani si divertiva di più.
Una volta mi telefonò verso le otto di sera, quando resta poco tempo per scrivere e occorre dare gli ultimi aggiornamenti. Saltò tutti i preliminari: «Sono in un isola lontano dall’Italia, ho venduto un giocatore di sei lettere, ruolo di sei lettere, a una squadra di sei lettere», mi disse tutto d’un fiato prima di mettermi giù la cornetta.
Era Renica, libero, ceduto al Napoli…
Un pomeriggio del luglio del 1988 ero in ufficio e assieme al collega Pianura (il cognome naturalmente è un altro) simpatizzante dell’Inter e mi chiamò Mantovani per dirmi che il Milan gli aveva chiesto Vierchowod.
Avevo messo il 'viva voce' e Pianura sentì tutto e si affrettò a darmi un suggerimento che riferii subito a Mantovani: «Presidente, c’è il collega Pianura se non vende Vierchowod al Milan le promette un regalo».
La risposta di Mantovani fu gelida: «Io non voglio regali, ma soldi».
Pianura rimase sbigottito: Mantovani era considerato uno degli uomini più ricchi d’Italia, quanti soldi avrebbe dovuto dargli affinché Vierchowod non finisse al Milan?
Passa una settimana e Mantovani mi chiama: «Domani vengo a Milano, dica a Pianura che ci troviamo in Piazza Medaglie d’oro a mezzogiorno, deve mantenere la promessa».
Il giorno dopo, almeno quaranta gradi all’ombra, Pianura ed io puntuali all’appuntamento. Andiamo al ristorante e dopo il dolce Mantovani chiede a Pianura di pagargli il mancato trasferimento di Vierchowod al Milan.
Pianura non sa che dire, vorrebbe sprofondare e Mantovani gli viene incontro: «Mi firmi un assegno in bianco».
Cosa che Pianura regolarmente fa. Mantovani prende l’assegno e ci scrive sopra la cifra, "diecimila lire", ringrazia e se ne torna a Bogliasco.
Quell’assegno non fu mai mandato all’incasso e per anni è rimasto incorniciato sulla parete dell’ufficio di Mantovani a Bogliasco.
Lui era un presidente così, un presidente che prima di ogni altra cosa cercava il divertimento: per se stesso, i tifosi della Samp e per tutti quelli ai quali voleva
bene.

Scritto da Franco Rossi e pubblicato su Il Corriere dello Sport il 6 luglio 2004.

giovedì 8 novembre 2007

Accadde oggi

8 novembre 1942. Nasce a Torino Alessandro Mazzola, figlio dell'indimenticato Valentino, capitano del Grande Toro, scomparso nel disastro aereo di Superga nel 1949.
Dal 1960 al 1977 Sandro Mazzola gioca 418 incontri in serie A (compreso lo spareggio scudetto del 1964), tutti con la maglia dell'Inter, realizzando 116 gol. È l'Inter del Mago Herrera, e Mazzola vince 4 titoli nazionali, 2 Coppe dei Campioni e 2 Coppe Intercontinentali. In nazionale italiana 70 presenze e 22 gol, il titolo di campione d'Europa nel 1968 e quello di vicecampione ai Mondiali del 1970.
Buon Compleanno Sandro.

mercoledì 7 novembre 2007

Rombo di tuono

7 novembre 1944. Nasce a Leggiuno (Varese) Luigi Riva, ancora attualmente detentore del primato di reti con la maglia della nazionale italiana (35 segnature in 42 presenze). In serie A Riva -tra il 1964 e il '76- ha realizzato 156 reti in 289 incontri, tutte con il Cagliari (20 gol in 49 incontri tra B e C nei primi due anni di carriera con Legnano e Cagliari).
Corteggiato per anni da Milan, Inter e Juventus, Gigi non lasciò mai Cagliari, regalandole nella stagione 1969/70 l'unico titolo nazionale della sua storia calcistica.
Campione d'Europa con l'Italia nel 1968, Riva non ha realizzato nessuno dei 211 gol della sua carriera con il piede destro che, secondo Manlio Scopigno -allenatore dello scudetto- avrebbe utilizzato solo a salire sul tram.
Buon Compleanno Rombo di tuono.

lunedì 5 novembre 2007

Un Barone è per sempre

Si è spento oggi 5 novembre 2007 a 85 anni di età Nils Liedholm, il Barone, ex calciatore e allenatore svedese. Liedholm abitava a Cuccaro (Alessandria), nei pressi di Monferrato, dove si occupava da tempo di una piccola tenuta agricola specializzata in produzione vinicola.
La Svezia (23 presenze, 11 gol), il Milan (359/81) poi, da allenatore, la Roma. Questa la parabola calcistica del Barone, fuoriclasse in campo e fuori, vincitore da calciatore dell'oro olimpico a Londra nel 1948 e di quattro titoli nazionali italiani negli anni Cinquanta con il Milan. Vicecampione del mondo nel 1958 con la Svezia, il suo volto dai nobili lineamenti e rassicuranti sorrisi venne scelto per la copertina del primo album calciatori Panini campionato 1960/61. Da allenatore vinse con il Milan lo scudetto della 'stella' nel 1979, con la Roma il suo secondo titolo italiano nel 1983. L'anno seguente condusse la Roma fino alla finale di Coppa dei Campioni, inchinandosi al Liverpool soltanto ai calci di rigore (nell'80-81 vincemmo la Coppa Italia in finale col Torino, ai rigori. Il primo lo tirò Ancelotti, l'ultimo Falcao, che non ne aveva più calciato uno da quando aveva 13 anni. Era molto sensibile Paulo. Era un leader strano. Consigliava al leader vero le cose da dire in spogliatoio. Sapevo che avrebbe sofferto quella passeggiata da centrocampo al dischetto, con tre miliardi di occhi addosso. Perciò lo tenni fuori dalla lista dei rigoristi contro il Liverpool. Sbagliarono anche due campioni del mondo. Quella passeggiata pesa). Liedholm verrà sempre ricordato per la sua distinta classe e per l'ingenita eleganza, quell'accuratezza nell'espressione e quella ponderata rarefazione nei gesti che gli valsero i titoli nobiliari calcistici. Inarrivabile modello comportamentale, in più di vent'anni sui campi da gioco non venne mai ammonito.
Nato a Valdemarsvik l'8 ottobre 1922, Nils da bambino alternò il pallone allo sci di fondo. Esordì nel campionato svedese a vent'anni nell'IK Sleipner, poi nel Norrkoping (due titoli nazionali) dal 1946 al '49, anno in cui, già affermatosi nei Giochi Olimpici dell'estate precedente, venne acquistato dal Milan, diventando dopo poche stagioni leggenda del calcio mondiale insieme ai connazionali e compagni di squadra Gunnar Gren e Gunnar Nordhal. Del Gre-No-Li rappresentò la geometria euclidea e la più ragionata estetica calcistica che, molti anni dopo, egli stesso riconobbe nelle meraviglie di Giancarlo Antognoni. Incantò Milano con lunghe e perfette trame di passaggi, amando raccontare che la prima volta che ne sbaglio' uno dopo circa decine di incontri, tutto il pubblico si sistemò in piedi per applaudirlo. Mancino, giocò da centrocampista e a fine carriera, con ugual profitto, da libero.
Ritiratosi nel 1961 e subito vice del paron Rocco sulla panchina del Milan, scelse l'Italia come definitiva residenza. Ha allenato il Milan dal 1963 al '66 magnificando l'ascesa calcistica di Gianni Rivera, poi dal '77 al '79 e dall'84 all'87, artefice del battesimo calcistico di Paolo Maldini. Nella Roma, allenata dal 1979 all'84 e nel 1997 (ultima suo incarico in panchina) plasmò a sua immagine e somiglianza Agostino Di Bartolomei, capitano dello scudetto '83. Premuroso mentore di un calcio di massima attenzione tattica (non si deve criticare solo il catenaccio. Ci si difende anche a centrocampo, con mille falli tattici. Io ripetevo ai miei giocatori: se fai fallo sbagli due volte. La palla resta a loro e mandi un messaggio di debolezza. Io mi allenavo molto, contro un giocatore o due, per portar via palla senza fare fallo), nella sua lunga e instancabile carriera ha allenato anche Verona, Monza, Varese e Fiorentina con fortune alterne. Ritiratosi nel Monferrato, è stato fino a pochi anni fa consulente di mercato della Roma (un esempio per tutti, Zlatan Ibrahimovic, già raccomandato a Sensi ai tempi del Malmoe).
Liedholm era conosciuto e amato per la maldestra ma gustosissima padronanza della lingua italiana e subito facilmente riconoscibile diventò il suo divertito gusto per l'iperbole e per alcuni paragoni perlomeno approssimativi o del tutto arditi, piccole perle di sottile e inimitabile umorismo: Mandressi venne indicato come «l'erede di Rensenbrink», Tosetto «il Keegan della Brianza», persino il carneade Gaudino come «il nuovo Nordhal» e Valigi «il nuovo Falcao». Lidas era molto scaramantico, si affidava a un indovino di fiducia che consultava scrupolosamente prima di importanti incontri e dal quale si recava accompagnato da numerosi giocatori prescelti. Credeva nell'oroscopo e con arguta civetteria palesava spesso come molti grandi calciatori erano di segno zodiacale Bilancia o comunque nati nel mese di ottobre. Sempre i soliti gli inconfutabili esempi: se stesso, Paolo Roberto Falcao (il suo prediletto), Pelè e Diego Armando Maradona.
Il Gre-No-Li vinse con la nazionale svedese l'oro alle Olimpiadi di Londra del 1948, piegando in finale la Jugoslavia per 3-1.
Il 29 giugno 1958 la Svezia affrontò a Stoccolma il Brasile nella finale dei Campionati del Mondo. La selecao del giovanissimo Pelè vinse 5-2, ma il Barone la ricordò sempre con amaro sarcasmo come la sua partita migliore, essendo uscito dal campo per infortunio dopo aver segnato la prima rete dell'incontro. Quel giorno Svensson, Bergmark, Axbon, Borjesson, Gustavsson, Parling, Hamrin, Gren, Simonsson, Skoglund e Liedholm scrissero, nonostante l'inevitabile sconfitta, la più bella pagina di storia calcistica del loro paese.

Habemus Sebastian

Secondo le prime consultazioni, Sebastian Giovinco -torinese classe 1987- diventerà un "grande" di Futbolandia.
Giovinco è un trequartista brevilineo (1.64 cm per 59 kg) di versatile tecnica e rapidità, importante visione di gioco e proficua esecuzione da fermo. Milita attualmente nell'Empoli in prestito dalla Juventus.
Con la signora ha completato l'intero percorso delle formazioni giovanili, concludendo in Primavera da primo attore (già nel 2005 Capello lo volle spesso agli allenamenti della prima squadra riservandogli la pettorina da trequartista della compagine riserve nelle partitelle infrasettimanali) con la vittoria del titolo nazionale di categoria nel 2006, della Supercoppa e della Coppa Italia Primavera nella stagione 2006/07, pochi giorni prima dell'esordio in prima squadra in Juventus-Bologna (3-1) del 12 maggio. Sebastian subentra a Palladino al minuto 75 e confeziona l'assist per la terza rete di Trezeguet. La Juventus ipoteca la vittoria del campionato di serie B 2006/07 e Sebastian gioca ancora due partite (contro Mantova e Triestina) in maglia bianconera.
Giovinco esordisce nella massima serie il 26 agosto 2007 in Fiorentina-Empoli (3-1), segnando la sua prima rete poco più di un mese dopo in Empoli-Palermo (3-1) del 30 settembre con una bella conclusione dal limite dell'area avversaria. Giovinco si adegua alle vicissitudini della 'piccola' Empoli, giocando da ala su entrambe le fasce o come seconda punta in appoggio a Saudati terminale offensivo. Il 4 ottobre 2007 esordisce in campo europeo al Letzigrund Stadion di Zurigo nell'incontro di ritorno del primo turno di Coppa Uefa, ma gli elvetici vincono per tre reti a zero e Sebastian dovrà attendere per bissare sotto i riflettori internazionali. Nell'ultimo turno di campionato del 4 novembre Giovinco segna nei minuti di recupero la rete del definitivo 2-2 contro la Roma su calcio di punizione, calciando direttamente in porta da una zolla remota del campo con quella sfrontata incoscienza, peculiare esclusiva di giovanissimi e istrionici interpreti dell'officio calcistico.
Giovinco ha giocato complessivamente 22 partite con cinque reti segnate nelle rappresentative nazionali giovanili (dalla under16 alla under20 tra il 2003 e il 2006). Nel 2007 ha disputato sette partite in under21 esordendo il 1 giugno da titolare contro l'Albania nella prima gara di qualificazione al Campionato Europeo del 2009 vinta dagli azzurrini per quattro reti a zero.
Presto Giovinco saprà sopperire alla deficitaria statura fisica con un idoneo accrescimento muscolare, in modo da resistere ai mordaci affondi dei granitici sobillatori nostrani, esecrandi profanatori domenicali del tempio di Vesta. Un'unica raccomandazione caro Sebastian: non ti curare dei tanti che con ridondanza ti ripeteranno di dimenticarti dei gentili virtuosismi, perchè nella vita c'è chi si occupa con abile ultimazione dei favori materiali e chi, seppur con delicata distrazione, si fa garante dell'incanto e delle meraviglie del mondo, sia ques'ultimo gentil cantore o devoto esegeta del gioco del calcio.

domenica 4 novembre 2007

De rerum imperii

Il 1 aprile 2007 la FIFA ha riconosciuto al Palmeiras il primo titolo intercontinentale per club della storia del calcio, in merito alla vittoria nel 1951 della Copa Rio (disputata in Brasile), torneo nel quale i brasiliani si imposero sui connazionali del Vasco da Gama, la Juventus, il Nizza, lo Sporting Lisbona, il Nacional Montevideo, l'Austria Vienna e la Stella Rossa. Sul riconoscimento delle edizioni del 1952 e del 1953, vinte dal Fluminense e dal Vasco da Gama, la FIFA si pronuncerà a titolo definitivo in questo mese.
Tra gli anni cinquanta e settanta si è disputata a Caracas con partecipazioni su invito la Pequeña Copa del Mundo (vinta da Real Madrid, Millonarios, Corinthians, San Paolo, Barcellona, Benfica, Valencia, Athletic Bilbao, Sparta Praga, Vitoria Setubal e D.D.R.XI) riservata ai migliori club sudamericani e a quelli europei con miglior piazzamento nella Coppa Latina, antenata della Coppa dei Campioni. Il torneo decrebbe di qualità e prestigio con l'avvento della Coppa dei Campioni, della Copa Libertadores e della Coppa Intercontinentale, sino a venire dapprima sospeso due volte e quindi, dopo un'ultima edizione nel 1975, cancellato definitivamente.
Nel 1969 e nel 1970 sono state disputate due edizioni della Super Coppa Intercontinentale (vinte da Santos e Penarol) cui accedevano soltanto le squadre che avevano vinto in almeno un'occasione la Coppa Intercontinentale, così come nella prima edizione del Mundialito per Club nel 1981, torneo organizzato a Milano per raccogliere il testimone della Pequeña . Le tre edizioni disputate (1981, 1983, 1987) registrarono la vittoria di Inter, Juventus e Milan, con la partecipazione di squadre di importante levatura (Peñarol, Santos, Flamengo, Porto, Barcellona, Feyenoord e Paris Saint-Germain).

La Coppa Intercontinentale, cui partecipavano la detentrice della Coppa dei Campioni e la vincitrice della Copa Libertadores, è stata assegnata dal 1960 al 2004.
Le squadre argentine hanno vinto il maggior numero di edizioni (nove sigilli): dopo il Racing di Avellaneda (1967), si sono imposte l'Estudiantes nel 1968, l'Independiente nel 1973, il Boca Juniors nel 1977, l'Independiente nel 1984, il River Plate nel 1986, il Velez Sarsfield nel 1994 e il Boca Juniors nel 2000 e 2003. Il Brasile (Santos 1962 e 1963; Flamengo 1981, Gremio 1983, San Paolo 1992, 1993 e 2005, Internacional Puerto Alegre 2006) vanta otto trofei, l'Italia sette con tre successi del Milan (1969, 1989, 1990) due dell'Internazionale (1964, 1965) e due della Juventus (1985, 1996), l'Uruguay sei (Penarol 1961, 1966, 1982; Nacional Montevideo 1971, 1980, 1988), la Spagna quattro (Real Madrid 1960, 1998, 2002; Atletico Madrid 1974). Tre successi per le squadre tedesche (Bayern Monaco 1976 e 2001, Borussia Dortmund 1998) e olandesi (Ajax 1972 e 1995, Feyenoord 1970), due per il Porto (1987, 2004), una coppa per l'Olimpia de Asuncion (1979), il Manchester United (1999) e la Stella Rossa Belgrado (1991).
Dal 1960 al 1979 per l'assegnazione della Coppa Intercontinentale (non disputata nel 1975 e nel 1978) si sono giocati incontri di andata e ritorno tra la squadra vincitrice della Coppa dei Campioni e quella titolare della Libertadores. A partire dal 1980 è stata adottata la soluzione della partita unica sul 'campo neutro' del National Stadium di Tokyo e, dal 2001, all'International Stadium di Yokohama.

Dal 2005 si disputa, in sostituzione della vecchia formula, il Campionato Mondiale per Club cui prendono parte le squadre vincitrici dei sei tornei continentali FIFA: la Champions League, la Copa Libertadores, la CONCACAF (Nord America, Centro America, Caraibi), la CAF (Africa), la AFC (Asia) e l'OFC (Oceania). Dalla prossima edizione parteciperà al torneo anche la squadra vincitrice del campionato nazionale della federazione ospitante (la J-League giapponese).
L'attuale formula del Campionato Mondiale per club, in vigore dal marzo 2007, prevede pertanto un turno preliminare eliminatorio tra la squadra titolare della OFC e i detentori della J-League. La vincente del turno preliminare disputa il primo turno (accoppiamenti eliminatori) con le squadre vincitrici dei tre tornei continentali di Nord-Centro America, Africa e Asia. I vincitori del primo turno partecipano alle semifinali cui accedono, di diritto, i detentori dei trofei continentali di Europa e America del Sud. Oltre alla finale per il primo e secondo posto (a Yokohama) si svolgono le finali per il terzo e quarto posto (tra le due sconfitte delle semifinali) e per il quinto e sesto posto (tra le due sconfitte del primo turno).
Il primo FIFA World Club Championship, che di fatto sostituisce la Coppa Intercontinentale, la Coppa Interamericana e la Coppa Afro-Asiatica, è stato disputato in forma sperimentale in Brasile nel 2000 (vinto dal Corinthians al Maracanà di Rio de Janeiro) ma per quell'anno non considerato sostitutivo all'antica competizione (vinta dal Boca Juniors a Tokyo).
Prenderanno parte tra il 7 e il 16 dicembre al Mondiale per Club 2007 i neozelandesi del Waitakere United, i messicani del Pachuca, i vincitori della AFC (finale tra Sepahan FC e Urawa Reds il 7 novembre), i vincitori della CAF (finale tra Etoile du Sahel e Al Ahly l'11 novembre), l'Urawa Red Diamonds (in qualità di vincitrice del campionato nazionale giapponese), il Boca Juniors e il Milan.

Accadde oggi

4 novembre 1967. Il Racing di Avellaneda è la prima squadra argentina a vincere la Coppa Intercontinentale imponendosi nello spareggio di Montevideo all'Estadio Centenario sugli scozzesi del Celtic Glasgow (1-0). Si tratta dell'unica occasione in cui la coppa è stata assegnata nella terza partita di spareggio dopo l'andata (0-1) all'Hampden Park e il ritorno (2-1) al Cilindro di Avellaneda.

sabato 3 novembre 2007

Canto del cigno

Fossero attori ce li goderemmo fino agli ottant’anni i nostri amori belli. Nel gioco del pallone però è impossibile. Quando addolcisce la vita dei fortunati spettatori agli Europei dell’88, Marco Van Basten di Utrecht, un metro e ottantotto di pura eleganza e classe cristallina, è stato sotto i ferri già un paio di volte. Il 25 giugno, alla finale di Monaco contro una delle ultime Urss (che in semifinale aveva eliminato l’Italia dal torneo), l’Olanda è giunta senza patemi e lo stesso svolgimento del match è, da un punto di vista drammaturgico, piuttosto banale: Gullit va a segno alla mezz’ora del primo tempo. Trame fitte, sovietici irretiti, nonostante la presenza di discreti interpreti, fra cui Mikhailichenko, Zavarov, Alejnikov, Protasov, Belanov. Van Basten sceglie il nono minuto della seconda frazione per dimostrare praticamente l’esistenza di una forma di vita superiore alla nostra. L’Urss ha appena sbagliato un calcio di rigore con Belanov, sul ribaltamento offensivo, la palla raggiunge Muhren sulla trequarti sinistra, rapida rassegna delle opzioni e cross in diagonale di abnorme lunghezza verso il fronte destro, laggiù, dove sta procedendo di gran carriera il centravanti olandese. La sollecita esecuzione di Muhren prende gli avversari in controtempo, tanto che Van Basten, con generose falcate, applica al bolide il suo occhio trigonometrico praticamente in solitudine. Il punto di chiusura della parabola è a pochi passi dal fondo, più prossimo alla bandierina che alla verticale dell’area di rigore, Van Basten l’ha individuato, ora lo fa suo in virtù di un impercettibile scarto dalla processione originaria. Il difensore russo Rats si era avvicinato in chiusura e, data la posizione defilata di Van Basten, aveva preferito non contrastarlo, temendo un letale dribbling a rientrare. Il portiere Dasaev aveva deciso di stare in mezzo, equidistante dai pali, a verificare l’ipotesi di un contro-cross. Il tiro di Van Basten non è teso, ha curva ascendente con picco ad altezza d’uomo, quindi cala sereno in rete. Un colpo al volo ad incrociare praticamente da fondo campo. Nel secondo che precedeva il compimento, si ascoltò il silenzio.

Il frammento descrittivo sopra riportato è stato tratto dal libro di Andrea Scanzi Canto del cigno (Limina, Arezzo 2004), unica biografia italiana interamente dedicata a Marco Van Basten e insieme riverbero di uno 'spazio mitico' di elogio della bellezza calcistica più autentica.