Si dice gazzetta, si pensa giornale. Avviene nella vita comune, ma il vocabolo "gazzetta" hun'etimologia diversa: nel 1500 si chiamava così una moneta di bassa lega coniata a Venezia he valeva due soldi, quanti ne occorrevano per acquistare un foglio di informazioni che la gente prese a chiamare gazzetta. Dalla monetina al giornale il passo è breve. E gazzetta è diventato sinonimo di giornale (sport deriva invece da un termie francese, anxi provenzale, del XIII secolo, deportes o desportes: indicava gli spostamenti,i trasporti necessari per poter svolgere giochi e attività all'aperto, dla caccia alla lotta). "Gazzetta" è anche il nome dato agli strilloni che vendevano il giornale per strada.
Sportweek, anno IX, n.12 (396), 29 marzo 2008, p.101
sabato 29 marzo 2008
sabato 15 marzo 2008
Alla corte dei miracoli
1977/78: Gli uomini di G.B. Fabbri stupirono l'intera penisola con un calcio spettacolare mai visto giocare prima da una provinciale. Su tutti, l'esplosione di uno straordinario Paolo Rossi, che a fine stagione guadagnerà la Nazionale di Bearzot per i mondiali argentini.
Al termine della stagione 1974/75 il Lanerossi Vicenza precipita in serie B, un evento, considerando la permanenza record di ben venti anni nella massima serie, il più delle volte condita da salvezze all'ultima giornata. Ma questa volta il miracolo atteso dai tifosi non c'è, la politica del compra-valorizza-vendi che tanto bene aveva svolto il presidente Giussy Farina non riesce a dare i propri frutti e la squadra che scende di categoria è ormai vecchia, svalorizzata e non più avezza al clima infernale della serie cadetta.A guidarla nella nuova ed inedita avventura, ancora il "filosofo" Scopigno, che aveva rilevato Puricelli nella stagione precedente non riuscendo però nell'impresa di salvare i biancorossi. L'inizio in serie B è stentato oltre ogni previsione, e per di più Scopigno dopo poche giornate si ammala gravemente ed è costretto a passare la mano a Cinesinho, che riuscirà a condurre il Lanerossi ad una sofferta salvezza, dopo aver intravisto lo spettro della serie C.
La squadra dei sogni parte lunga, dalla Serie B della stagione '76-77, e nasce tra i mugugni di una piazza che attendeva nomi altisonanti dalla campagna acquisti e si trova di fronte un pugno di ragazzi e un tecnico dalle idee moderne e poco tranquillizzanti. Si chiama Giovan Battista Fabbri, il timoniere: uno che dei grandi nomi se ne infischia perché punta sul collettivo e che ha appena subito una bocciatura cadendo in C con il Piacenza. I nuovi acquisti del presidente Giussy Farina, che deve preoccuparsi anche di far quadrare il bilancio, si chiamano Paolo Rossi, Salvi, Cerilli. A Vicenza c'è malumore. Cerilli è noto solamente perchè ha fallito clamorosamente nell'Inter, dove in tanti, Fraizzoli in primis, lo vedevano come il nuovo Corso ma dove in due stagioni racimola solamente diciannove presenze per una sola rete. Salvi invece ha già 31 anni e una vita alle spalle con la maglia della Sampdoria, insomma non proprio un giovane in cerca di successo nei campi infuocati della serie B. Per finire, Paolo Rossi. Uno scarto della Juventus che anche a Como faceva panchina (sei presenze e zero reti la stagione 75/75) e che Boniperti riesce a dirottare in comproprietà a Vicenza. Non bastasse, il vecchio bomber Sandro Vitali si impenna, né combina un'altra delle sue e molla il ritiro e il calcio lasciando i tifosi nel panico.
Sarà un inferno, prevedono le cassandre. Non bastasse, alla prima di campionato i biancorossi cedono per 2-0 di fronte ad un non irresistibile Avellino.E invece la stagione è d'oro: corroborato da tre vittorie consecutive, Fabbri indovina le potenzialità di Rossi, che durante la stagione si guadagna la convocazione nell'Under 21, e il suo Vicenza mette in mostra un gioco raffinato, moderno, con Paolino alla guida di un gruppo che non sbanda (quasi) mai. Nei momenti di stanchezza affiora nella tifoseria una punta di insofferenza, ma anche se la squadra a lungo andare concede sempre meno allo spettacolo, anche se finisce in affanno, la Serie A è riconquistata. A Vicenza esplode un carnevale fuori stagione, Corso Palladio è una bolgia di allegria ed entusiasmo. Paolo Rossi ha segnato 21 reti, è il capocannoniere della serie cadetta ed è già un pezzo pregiato per il mercato ma Farina lo convince (aumentandogli l'ingaggio, da 8 a 50 milioni) a restare per affrontare insieme la grande avventura della serie A.E il Real Vicenza di Gibì Fabbri si affaccia alla Serie A con le pile ancora cariche, l'adrenalina a mille e una dannata voglia di stupire il calcio italiano. Giussy Farina, che a fine stagione aveva annunciato il ritiro, non trova acquirenti per la sua creatura «costruita spendendo un pugno di lenticchie e che oggi ha quadruplicato il suo valore». Cosi il presidente fa marcia indietro e resta alla guida del gruppo.
continua...
Al termine della stagione 1974/75 il Lanerossi Vicenza precipita in serie B, un evento, considerando la permanenza record di ben venti anni nella massima serie, il più delle volte condita da salvezze all'ultima giornata. Ma questa volta il miracolo atteso dai tifosi non c'è, la politica del compra-valorizza-vendi che tanto bene aveva svolto il presidente Giussy Farina non riesce a dare i propri frutti e la squadra che scende di categoria è ormai vecchia, svalorizzata e non più avezza al clima infernale della serie cadetta.A guidarla nella nuova ed inedita avventura, ancora il "filosofo" Scopigno, che aveva rilevato Puricelli nella stagione precedente non riuscendo però nell'impresa di salvare i biancorossi. L'inizio in serie B è stentato oltre ogni previsione, e per di più Scopigno dopo poche giornate si ammala gravemente ed è costretto a passare la mano a Cinesinho, che riuscirà a condurre il Lanerossi ad una sofferta salvezza, dopo aver intravisto lo spettro della serie C.
La squadra dei sogni parte lunga, dalla Serie B della stagione '76-77, e nasce tra i mugugni di una piazza che attendeva nomi altisonanti dalla campagna acquisti e si trova di fronte un pugno di ragazzi e un tecnico dalle idee moderne e poco tranquillizzanti. Si chiama Giovan Battista Fabbri, il timoniere: uno che dei grandi nomi se ne infischia perché punta sul collettivo e che ha appena subito una bocciatura cadendo in C con il Piacenza. I nuovi acquisti del presidente Giussy Farina, che deve preoccuparsi anche di far quadrare il bilancio, si chiamano Paolo Rossi, Salvi, Cerilli. A Vicenza c'è malumore. Cerilli è noto solamente perchè ha fallito clamorosamente nell'Inter, dove in tanti, Fraizzoli in primis, lo vedevano come il nuovo Corso ma dove in due stagioni racimola solamente diciannove presenze per una sola rete. Salvi invece ha già 31 anni e una vita alle spalle con la maglia della Sampdoria, insomma non proprio un giovane in cerca di successo nei campi infuocati della serie B. Per finire, Paolo Rossi. Uno scarto della Juventus che anche a Como faceva panchina (sei presenze e zero reti la stagione 75/75) e che Boniperti riesce a dirottare in comproprietà a Vicenza. Non bastasse, il vecchio bomber Sandro Vitali si impenna, né combina un'altra delle sue e molla il ritiro e il calcio lasciando i tifosi nel panico.
Sarà un inferno, prevedono le cassandre. Non bastasse, alla prima di campionato i biancorossi cedono per 2-0 di fronte ad un non irresistibile Avellino.E invece la stagione è d'oro: corroborato da tre vittorie consecutive, Fabbri indovina le potenzialità di Rossi, che durante la stagione si guadagna la convocazione nell'Under 21, e il suo Vicenza mette in mostra un gioco raffinato, moderno, con Paolino alla guida di un gruppo che non sbanda (quasi) mai. Nei momenti di stanchezza affiora nella tifoseria una punta di insofferenza, ma anche se la squadra a lungo andare concede sempre meno allo spettacolo, anche se finisce in affanno, la Serie A è riconquistata. A Vicenza esplode un carnevale fuori stagione, Corso Palladio è una bolgia di allegria ed entusiasmo. Paolo Rossi ha segnato 21 reti, è il capocannoniere della serie cadetta ed è già un pezzo pregiato per il mercato ma Farina lo convince (aumentandogli l'ingaggio, da 8 a 50 milioni) a restare per affrontare insieme la grande avventura della serie A.E il Real Vicenza di Gibì Fabbri si affaccia alla Serie A con le pile ancora cariche, l'adrenalina a mille e una dannata voglia di stupire il calcio italiano. Giussy Farina, che a fine stagione aveva annunciato il ritiro, non trova acquirenti per la sua creatura «costruita spendendo un pugno di lenticchie e che oggi ha quadruplicato il suo valore». Cosi il presidente fa marcia indietro e resta alla guida del gruppo.
continua...
venerdì 14 marzo 2008
Alla corte dei miracoli II
1977/78: Gli uomini di G.B. Fabbri stupirono l'intera penisola con un calcio spettacolare mai visto giocare prima da una provinciale. Su tutti, l'esplosione di uno straordinario Paolo Rossi, che a fine stagione guadagnerà la Nazionale di Bearzot per i mondiali argentini.
La stagione però parte malissimo, peggio della precedente. Un incolore 0-0 al Bentegodi per il derby veneto bagna il ritorno dei biancorossi in serie A, seguito da due sconfitte interne contro Inter e Torino. D'accordo, il calendario non è amico, anche perchè alla quarta di campionato i biancorossi ne buscano tre dal Milan a San Siro, ma anche in quella che avrebbe dovuto essere la gara del riscatto, al Menti contro un timidissimo Pescara, Il Vicenza fatica a contenere la gara sul pareggio. Tre sconfitte e due pareggi nelle prime cinque giornate. Farina si guarda intorno, interroga Fabbri sul da farsi per il mercato di riparazione autunnale e sull'attuale schema di gioco dei biancorossi, che nonostante le due punte (Rossi e Vincenzi) fa una fatica terribile a trovare la via della rete.La risposta sta nel campionato precedente: riprendere in mano gli schemi sbarazzini e arroganti utilizzati nell'anno della promozione e giocarsi li tutto per tutto a viso aperto anche in serie A.
Contro-ordine è quindi il rimedio: da Monza in cambio di Vincenzi rientra in fretta e furia Cerilli, mai ambientato e fuori fase, e da Como arriva un certo Mario Guidetti, oscuro mediano con alle spalle una manciata di presenze in serie A e pure non proprio giovanissimo.Fabbri a Bergamo per la sesta di campionato sa di giocarsi la panchina. Niente doppia punta, Rossi solo in avanti con Filippi e Cerilli sulle fasce, Faloppa e Salvi a centrocampo e Guidetti sulla mediana davanti alla difesa e pronto per improvvise proiezioni offensive. Dietro, Callioni Prestanti e Lelj, coperti dal magnifico e sfortunato libero Carrera (un'altra scommessa di G.B.), coprono l'ottimo Ernesto Galli in porta (uno dei pochi portieri a giocare ancora senza guanti...).
Contro-ordine è quindi il rimedio: da Monza in cambio di Vincenzi rientra in fretta e furia Cerilli, mai ambientato e fuori fase, e da Como arriva un certo Mario Guidetti, oscuro mediano con alle spalle una manciata di presenze in serie A e pure non proprio giovanissimo.Fabbri a Bergamo per la sesta di campionato sa di giocarsi la panchina. Niente doppia punta, Rossi solo in avanti con Filippi e Cerilli sulle fasce, Faloppa e Salvi a centrocampo e Guidetti sulla mediana davanti alla difesa e pronto per improvvise proiezioni offensive. Dietro, Callioni Prestanti e Lelj, coperti dal magnifico e sfortunato libero Carrera (un'altra scommessa di G.B.), coprono l'ottimo Ernesto Galli in porta (uno dei pochi portieri a giocare ancora senza guanti...).
Al 32' L'Atalanta si porta in vantaggio con Rocca ed a questo punto il Vicenza si trova di fronte ad un bivio. La strada giusta la indica Guidetti, che 6 minuti dopo pareggia i conti con un incursione delle sue. I ragazzi di Fabbri ci credono, il gioco si fa spumeggiante come nelle migliori giornate della stagione precedente, Rossi al 46' porta in vantaggio i suoi e al 51' addirittura è 3-1 ancora Guidetti. Finirà 4-2 con un apoteosi biancorossa e la ferma convinzione tra i giocatori che anche in serie A c'è posto per loro.Convinzione che la domenica successiva si consolida quando al Menti arriva la Lazio: 2-1 finale con ancora Rossi in rete e stoccata finale dello stopper Prestanti.La stampa inizia ad accorgersi dell'armata di Fabbri, Paolo Rossi inizia a guadagnarsi le prime pagine dei giornali, Fiorentina e Roma sono castigate rispettivamente per 3-1 e 4-3 con due doppiette di Paolino e tanto, tanto bel gioco.
Contro la Roma sono addirittura fuochi d'artificio con Ernesto Galli che al 90' para un rigore all'ex Agostino Di Bartolomei consentendo al Lanerossi di portarsi al terzo posto in classifica.Piccolo break allo Zaccheria con un tenace Foggia (1-1 finale) e via ancora con altre due vittorie (Bologna e Genoa). Al termine della dodicesima giornata la classifica recita: Milan e Juventus 17 punti, Lanerossi Vicenza 16 punti. Clamoroso.Fabbri è guardato con invidia dai suoi colleghi: come può una provinciale, piena fra l'altro di scarti di altre società, essere così sfrontata, votata all'attacco in qualsiasi campo d'Italia?La piccola rivoluzione del Vicenza sta tutta nella convinzione che G.B. riesce ad infondere ai suoi, giocarsela tutta sempre e dovunque, costruire e non distruggere.Dispone inoltre del miglior esterno del campionato, un Roberto Filippi già trentenne, con alle spalle 3 gettoni con il Bologna nel 72/73 e poi tanta serie C, che per la prima volta, sotto la guida di Fabbri, si dimostra all'altezza della Serie A e regala alla squadra idee precise, rabbia agonistica, chilometri e sudore, continuità.
Ma il vero crack è lui, Paolo Rossi, già idolo di tutti, già fenomeno mediatico nonostante la sua estrema riservatezza e il suo volto pulito da bravo ragazzo.Nel girone di ritorno il Lanerossi non è più una sorpresa. Tutti si aspettano il crollo dei ragazzi di Fabbri, che invece danno dimostrazione di grande maturità, imparando a gestire meglio le partite e tirando il freno a mano quando ce n'è bisogno. Alla 28a un clamoroso 4-1 al Napoli (doppietta di Faloppa) mantiene il Vicenza a quattro punti dalla Juve che va facile sul Pescara (2-0) e mette praticamente la parola fine al campionato.
La domenica successiva, 3-1 al Perugia (ancora due gol di Rossi) e gran finale al Comunale di Torino dove la Juventus festeggia lo scudetto dando vita assieme agli uomini di G.B. ad un match spettacolare. Due volte in vantaggio con Bettega e Boninsegna, la Signora si fa raggiungere in entrambe le occasioni, prima della stoccata decisiva di Penna Bianca per il 3-2 finale.Sugli allori, proprio Bettega e Rossi, che saranno protagonisti assieme neanche un mese dopo in Argentina con la Nazionale di Bearzot.
Ma il vero crack è lui, Paolo Rossi, già idolo di tutti, già fenomeno mediatico nonostante la sua estrema riservatezza e il suo volto pulito da bravo ragazzo.Nel girone di ritorno il Lanerossi non è più una sorpresa. Tutti si aspettano il crollo dei ragazzi di Fabbri, che invece danno dimostrazione di grande maturità, imparando a gestire meglio le partite e tirando il freno a mano quando ce n'è bisogno. Alla 28a un clamoroso 4-1 al Napoli (doppietta di Faloppa) mantiene il Vicenza a quattro punti dalla Juve che va facile sul Pescara (2-0) e mette praticamente la parola fine al campionato.
La domenica successiva, 3-1 al Perugia (ancora due gol di Rossi) e gran finale al Comunale di Torino dove la Juventus festeggia lo scudetto dando vita assieme agli uomini di G.B. ad un match spettacolare. Due volte in vantaggio con Bettega e Boninsegna, la Signora si fa raggiungere in entrambe le occasioni, prima della stoccata decisiva di Penna Bianca per il 3-2 finale.Sugli allori, proprio Bettega e Rossi, che saranno protagonisti assieme neanche un mese dopo in Argentina con la Nazionale di Bearzot.
Il campionato di Serie A '77-78 è finito e da queste parti, ma non solo, passerà alla storia. Cosa chiedere di più?Rossi, definitivamente esaltato dal gioco di Fabbri, va oltre i suoi limiti: 21 ne aveva segnate in Serie B, arriva a 24 nel campionato dei "grandi", conquistando il titolo di re dei marcatori e la maglia azzurra nella Nazionale di Bearzot. La squadra non arriva mai a minacciare la Juventus Campione d'Italia, ma chiude la stagione dei sogni al secondo posto (che oggi varrebbe Champions League), miglior piazzamento della sua storia. Grazie a Gibì (vincitore del Seminatore d'Oro), grazie ai gol di Rossi, grazie al collettivo. E anche grazie a un piccolo grande uomo che diventa l'anima del centrocampo biancorosso, quel Roberto Filippi che risulterà eletto come miglior giocatore del campionato. Giussy Farina è alle stelle e il suo entusiasmo sta scritto sulla busta con cui riscatta Paolo Rossi dalla Juve con un'offerta di due miliardi, seicento milioni e cinquecentodiecimila lire. Una pazzia d'amore, che costerà molto cara. Dirà Giussy Farina: «Mi vergogno, ma non potevo farne a meno: per vent’anni il Vicenza ha vissuto degli avanzi. E poi lo sport è come l’arte, e Paolo è la Gioconda del nostro calcio...»
Nonostante le partenze (per coprire li riscatto di Rossi) di due colonne come Lelj (Fiorentina) e soprattutto Filippi (Napoli), Gibì Fabbri mette in guardia un ambiente in euforia, ma nessuno l'ascolta. Così, dopo la stagione della gloria arriva quella del dolore. Dolore anche fisico, come quello di Paolo Rossi, ora diventato Pablito dopo l'avventura in Argentina. Contro il Dukla in Coppa Uefa il ceco Macela lo mette fuori uso per il match di ritorno (con conseguente eliminazione) e per le prime giornate del campionato 78/79. Il Lanerossi stenta, senza Pablito e senza le sgroppate di Filippi sembra perso, inerme.All'ottava giornata è ultimo in classifica assieme al Verona. Il rientro di Rossi e l'assestamento progressivo della squadra rimettono le cose a posto, a tratti si rivede lo spettacolare gioco della stagione precedente tanto che a sei giornate dal termine sono proprio sei i punti di vantaggio sulla terz'ultima. All'orizzonte una salvezza tranquilla ed onorevole, quindi.Imprevedibile, arriva invece il crollo, nervoso e fisico, degli uomini di G.B. Quattro sconfitte consecutive fanno ricadere il Vicenza nelle zone basse e la squadra si fa trovare impreparata e incapace di ritrovare le energie psicofisiche per evitare il baratro.A Bergamo (dove l'anno precedente era iniziata la svolta...) nell'ultima giornata uno spento Vicenza si fa travolgere dall'Atalanta, ed è di nuovo serie B.Un ciclo si è concluso, rimarrà invece per sempre la favola del Real Vicenza.
venerdì 7 marzo 2008
Quando si sognava il "Tredici"
Prima del gioco globale, teleplanetario, e delle cento lotterie informatizzate, dei tornei quotidiani e dei multipli jack pot feriali, la gloriosa schedina — tatuata Totocalcio e Lamette Bolzano — ha navigato in solitaria anni d’autentico miracolo, regnando su domeniche italiane di puro incanto e sigillando, lei sola, i novanta minuti dagli stadi, scanditi dalle voci vorticose dei radiocronisti — «grazie Ameri, a te Ciotti» — fino al rendiconto algebrico della colonna vincente. Fino al montepremi che da qualche parte, in un bar, in una cucina al neon, avrebbe avverato tutti i sogni sognabili grazie a una parola d’azzardo innocuo, casalingo e al tempo stesso favolosa: Tredici.Ma ora che la schedina ha passato i sessant'anni, ora che il suo montepremi si è smagrito di dieci volte dalle stagioni d’oro — 34 miliardi di lire il record di una domenica nel 1993, neppure 1 milioni di euro la scorsa settimana — la sua storia di carta ha davvero imboccato il viale del tramonto delle dive...
La schedina prevede dodici pronostici, una sola colonna, trenta lire per la giocata, l’equivalente di un Vermut. Il campionato di calcio viene dal mondo di prima. Porta la luccicanza del grande Torino di Valentino Mazzola che vincerà tutto, prima della catastrofe. Della Nazionale di Angelo Schiavio e di Silvio Piola. Ma il gioco dei pronostici è nuovo di zecca. È semplice come la vita. Attraente come una scommessa. Imponderabile come il destino. Si chiama Sisal. Si pronuncia 1, 2, x, schedina.
La schedina prevede dodici pronostici, una sola colonna, trenta lire per la giocata, l’equivalente di un Vermut. Il campionato di calcio viene dal mondo di prima. Porta la luccicanza del grande Torino di Valentino Mazzola che vincerà tutto, prima della catastrofe. Della Nazionale di Angelo Schiavio e di Silvio Piola. Ma il gioco dei pronostici è nuovo di zecca. È semplice come la vita. Attraente come una scommessa. Imponderabile come il destino. Si chiama Sisal. Si pronuncia 1, 2, x, schedina.
La schedina compare come un fiore di carta quasi gialla tra le macerie d’Italia, dopo gli inverni di polvere e di morte, nella seconda primavera del nuovo inizio, mentre si ascolta il primo boogie-woogie nei cortili, si ricostruiscono i tetti e i ponti, ci si divide la minestra. L’Italia è talmente povera che il suo presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, in partenza per la conferenza di Parigi, deve farsi prestare il soprabito dal ministro Piccioni. Senza quella povertà così completa non si capirebbe l’imminente trionfo del nuovo gioco a premi. La pace ha appena vinto in casa: Uno. La guerra ha perso: Due. La vita si è rimessa in pari col destino: Ics.Si ricomincia sul verde ancora scolorito dei campi. Il pallone è di cuoio marrone. Gli atleti hanno la faccia scavata, però allegra.
La prima schedina della Sisal, 5 maggio 1946. Se l’è appena inventata un tipo elegante e sveglio, Massimo Della Pergola, con due amici e 300mila lire di capitale. Massimo Della Pergola all’epoca ha una trentina d’anni e una storia da film alle spalle. È nato a Trieste. Fa il giornalista sportivo. È ebreo.
La prima schedina della Sisal, 5 maggio 1946. Se l’è appena inventata un tipo elegante e sveglio, Massimo Della Pergola, con due amici e 300mila lire di capitale. Massimo Della Pergola all’epoca ha una trentina d’anni e una storia da film alle spalle. È nato a Trieste. Fa il giornalista sportivo. È ebreo.
Quando fugge dai tedeschi e dalle leggi razziali, il suo ex giornale, Il popolo di Trieste, titola: «Della Pergola espulso. Si respira aria nuova». Lui scappa a Firenze travestito da mendicante. Poi da Milano in una notte di coprifuoco. Recupera la moglie e il figlio piccolissimo. Approda sul lago di Como. Un paio di spalloni lo accompagnano sino al confine. Entra in Svizzera a piedi la sera di Natale del 1943. Finisce in un campo di prigionia. L’accusa di espatrio clandestino è il suo salvacondotto. La pena da scontare la sua salvezza.Racconterà che lavorava nel campo di Pont de la Morge come manovale alla bonifica delle sponde del Rodano. Che portava cucito addosso il numero 21915 e che «per reagire alle sofferenze e a quello stato d’animo di sentirmi un numero» pensava alla sua passione, il calcio, e agli stadi bombardati e a quando sarebbe potuto rinascere lo sport in Italia. Pensava a dove e come si sarebbero rintracciati tanti soldi per innaffiare l’erba dei nuovi campi bruciati dalla guerra e le caviglie fragili dei ragazzi prossimi venturi. A come far rifiorire il tifo. Finché non ebbe l’idea: un concorso milionario e un sogno domenicale in cambio di uno spicciolo leggero quanto un aperitivo per dissetare lo sport.
Così quella prima domenica di maggio del ‘46 — mentre a Torino sfilano gli ex partigiani coi gonfaloni e a Roma c’è il comizio dei monarchici al Palatino — sotto al cielo appiccicoso dei bar compaiono 5 milioni di schedine. L’incasso non arriva a 2 milioni. E il montepremi quasi non si vede, 463.146 lirette, tutte giocate tra le macerie, i sacchi di farina, e l’ironia dei giornali. Dirà Della Pergola: «Nessuno ci credeva alla mia Sisal. Quando andavo al Coni dicendo che con quei soldi si sarebbero ricostruite le piste di atletica, le palestre, gli stadi, mi sfottevano: è arrivato quello dei regali milionari, ecco a voi babbo Natale. Ma io ero deciso, ero un idealista».Un idealista che però conosce gli italiani. Sa che la febbre del gioco ha una sua forza autonoma. Che la speranza settimanale è contagiosa. Perciò il montepremi cresce. Le schedine entrano nel paesaggio quotidiano del tempo libero maschile, come le giocate del Lotto, come le tappe del nuovo giro d’Italia con Bartali in testa, come il ramino o le Alfa senza filtro. E anche quando scompaiono dai bar, riaffiorano sui banconi dei barbieri: alimentano le discussioni sulle prossime partite, moltiplicano le contese, ripuliscono i rasoi.In due stagioni la Sisal triplica gli incassi, conquista gli italiani, e tutta intera l’attenzione dello Stato. Il presidente Luigi Einaudi la nazionalizza con un decreto, anno 1948. Il ministero la ribattezza Totocalcio, le assegna 13 squadre. Della Pergola protesta, chiede un indennizzo, fa causa, ma è una partita di carte bollate all’italiana, si trascina senza reti per sei anni, poi amen, neanche le scuse.Ma non è che Della Pergola ci perda l’anima e il buon umore. La sua creatura funziona a meraviglia e cresce come l’economia, il reddito, le strade. Il Coni d’ora in avanti incassa un terzo delle giocate. Un terzo va all’erario. L’ultima fetta ai vincitori.
I titoli dei giornali lanciano i nuovi milionari della domenica. Il Cinegiornale intervista il minatore sardo Giovanni Mannu, 77 milioni di vincita, che alza le braccia come un atleta quando s’accendono i flash e lo speaker grida: «Eccolo a Roma mentre ritira il primo milione di anticipo». O il bigliettaio della Salemi-Messina Giovanni Cappello che fa frusciare i pacchi di diecimila lire formato lenzuolo. O la signora Giovanna Taoro che «contro il parere del figlio e del buon senso» ha dato l’Inter sconfitta a Catania e adesso incassa 60 milioni.Nei primissimi anni c’è ancora qualcuno che scrive sul retro della schedina cognome, nome e indirizzo, come all’anagrafe, poi si smagano tutti, per via dell’odiato ministro Vanoni, predatore di tasse nascoste. In televisione nasce il nuovo tormentone del lunedì la caccia al tredicista fuggitivo: «Si insegue uno zoppo con un soprabito verde. Forse è un ex carcerato. Forse il giornalaio. L’indiziato nega».I rotocalchi inquadrano facce di contadini con occhi sbarrati su titoli a scatola: «Cento milioni di felicità», con l’elenco dei sogni da realizzare, il matrimonio, l’automobile, la cucina americana, il bar da comprare, il milioncino «alla nonna e ai parenti tutti». Ma poi a seguire anche esiti meno edificanti e più realistici, tipo: «Quei 150 milioni che mi hanno rovinato la vita», magari con un sovrappiù di moralismo che disseta le invidie, ma che in fin dei conti non dissuade nessuno.
I titoli dei giornali lanciano i nuovi milionari della domenica. Il Cinegiornale intervista il minatore sardo Giovanni Mannu, 77 milioni di vincita, che alza le braccia come un atleta quando s’accendono i flash e lo speaker grida: «Eccolo a Roma mentre ritira il primo milione di anticipo». O il bigliettaio della Salemi-Messina Giovanni Cappello che fa frusciare i pacchi di diecimila lire formato lenzuolo. O la signora Giovanna Taoro che «contro il parere del figlio e del buon senso» ha dato l’Inter sconfitta a Catania e adesso incassa 60 milioni.Nei primissimi anni c’è ancora qualcuno che scrive sul retro della schedina cognome, nome e indirizzo, come all’anagrafe, poi si smagano tutti, per via dell’odiato ministro Vanoni, predatore di tasse nascoste. In televisione nasce il nuovo tormentone del lunedì la caccia al tredicista fuggitivo: «Si insegue uno zoppo con un soprabito verde. Forse è un ex carcerato. Forse il giornalaio. L’indiziato nega».I rotocalchi inquadrano facce di contadini con occhi sbarrati su titoli a scatola: «Cento milioni di felicità», con l’elenco dei sogni da realizzare, il matrimonio, l’automobile, la cucina americana, il bar da comprare, il milioncino «alla nonna e ai parenti tutti». Ma poi a seguire anche esiti meno edificanti e più realistici, tipo: «Quei 150 milioni che mi hanno rovinato la vita», magari con un sovrappiù di moralismo che disseta le invidie, ma che in fin dei conti non dissuade nessuno.
Con il Miracolo economico la schedina diventa uno degli emblemi del sogno consumista, una serratura a portata di mano. Entra nella commedia all’italiana come le bionde, la spider, la spiaggia. Scrive lo storico Giuseppe Imbucci: «Il Totocalcio e la sua schedina trasportata dal vento, così come appariva in una famosa pubblicità, sono stati una delle scorciatoie di questa nuova etica dei consumi. Un’ideale ricchezza straripante e milionaria». Tanto reale da avverarsi ogni settimana e lentamente moltiplicarsi fino agli anni stellari, gli Ottanta e specialmente i Novanta, quando distribuisce fino a mille miliardi di premi all’anno.II declino comincia da quelle vette, per ridondanza di troppi trionfi. Per moltiplicazione dei concorsi, Intertoto, Totogol, per i montepremi astronomici del Superenalotto, per la legalizzazione delle scommesse, per gli ascolti televisivi che si nutrono di nuovi campionati, nuovi trofei con incognite da calcolare. L’immensità della tavola da gioco internettiana ha finito col rendere residuale quella promessa di fortuna impaginata in un solo rettangolo di carta.Massimo Della Pergola, che se n’è andato un paio di anni fa, sempre con quel suo mezzo sorriso in faccia diceva: «No, non ho mai giocato in vita mia». Contento però di avere vinto l’unico montepremi che contasse, quando si sentiva un numero da nulla e così infelice da inventarsi un destino con tre variabili, perpetuo. O quasi.
di Pino Corrias, http://www.storiedicalcio.altervista.org
mercoledì 5 marzo 2008
La caduta degli Dei
di Andrea Garnero
Prima o poi doveva succedere ed è accaduto. Il Milan, pluricampione d’Europa e del Mondo 2007, è stato eliminato agli ottavi di finale con il classico risultato all’inglese: 2 a 0 e “tutti a casa”. Rabbia? Tristezza? Amarezza? Delusione? No, niente di tutto questo, perché più di così non potevano fare.
Colpe della società? Colpa dei giocatori? Colpa dell’arbitro? No, niente di tutto questo, perché credo abbia ragione Mario Sconcerti quando scrive: «Ieri sera è calato definitivamente il sipario su una grande stagione, ma il Milan era arrivato al suo limite già molto tempo fa. È stato spremuto fino all’ultima goccia del suo talento». Ebbene sì, il Milan è stato “giustamente” spremuto. Non resta quindi che giocare a testa alta, onorare l’autorevole avversario e guardare avanti.
Un Milan vincente ogni anno? No, ne serve uno convincente ogni anno e vincente ogni tre o quattro. Il Milan, questo Milan di Ancelotti ha vinto tutto e non può vincere di più. La stagione 2006-2007 resta indimenticabile per un tifoso rossonero. Ora non voglio parlare di stagioni passate, partite eroiche perché quelle le conosciamo e fanno la storia del calcio. Ripeto, a testa alta guardare avanti nella vita; il Milan è il Milan anche quando non vince nulla.
Stagione fallimentare? No, niente di tutto questo, perchè il fallimento dove starebbe? Uscire dalla Coppa Italia che in via Turati non “fa bacheca”? Arrivare (si spera) quarti in campionato per giocare i preliminari? Ci sono, facciamoli. Non vincere lo scudetto? Lo vincano i più forti, non sempre si può essere i più forti. Non perché ti chiami Milan devi sempre vincere, ci possono essere e ci sono anche stagioni storte.
Al Milan piace Montecarlo, al Milan piace il “Sol Levante”. Il Milan ci tornerà perché quella è la sua storia e sarà la sua leggenda. Il merito non è che del Nostro Presidente perché è così e chi non lo vuole ammettere, non è degno di tifare per questa squadra. È lui l’artefice di tutto questo. Ed è proprio per lui e per i ragazzi che a fine partita, seduto al mio posto mentre lo stadio si svuotava, mi sono accesso una sigaretta e li ho ringraziati né con un applauso, né con una risata, ma semplicemente restando lì a vederli uscire. Sapendo che i miei compari (Fabio e Felice) avrebbero impiegato una buona ventina di minuti a uscire mi sono letteralmente goduto quel momento. I tifosi ospiti in festa, i gunners in festa e i nostri che non vedevano l’ora di uscire dal campo. È stato tutto bellissimo, emozionante e stancante psicologicamente. Perché anche questo è il Milan, restare lì seduti e vederli uscire anche dopo un’eliminazione. Questo è l’insegnamento che hanno dato a noi amanti del buon calcio tutti i trofei vinti.
Il Capitano Paolo Maldini voleva arrivare a Mosca per concludere lì la carriera. Caro capitano, la tua carriera non si concluderà mai. La carriera di un giocatore si conclude solo quando quel giocatore “fugge” dalle memorie altrui. Ma tu, dove vuoi andare? Tu resti qui, nei nostri ricordi e nei nostri cuori. Quello che hai vinto lo sanno tutti. Volevi un’altra coppa dei Campioni? Lasciala vincere al prossimo capitano del Milan che sarà degno di indossare la fascia.
Grazie Milan
Prima o poi doveva succedere ed è accaduto. Il Milan, pluricampione d’Europa e del Mondo 2007, è stato eliminato agli ottavi di finale con il classico risultato all’inglese: 2 a 0 e “tutti a casa”. Rabbia? Tristezza? Amarezza? Delusione? No, niente di tutto questo, perché più di così non potevano fare.
Colpe della società? Colpa dei giocatori? Colpa dell’arbitro? No, niente di tutto questo, perché credo abbia ragione Mario Sconcerti quando scrive: «Ieri sera è calato definitivamente il sipario su una grande stagione, ma il Milan era arrivato al suo limite già molto tempo fa. È stato spremuto fino all’ultima goccia del suo talento». Ebbene sì, il Milan è stato “giustamente” spremuto. Non resta quindi che giocare a testa alta, onorare l’autorevole avversario e guardare avanti.
Un Milan vincente ogni anno? No, ne serve uno convincente ogni anno e vincente ogni tre o quattro. Il Milan, questo Milan di Ancelotti ha vinto tutto e non può vincere di più. La stagione 2006-2007 resta indimenticabile per un tifoso rossonero. Ora non voglio parlare di stagioni passate, partite eroiche perché quelle le conosciamo e fanno la storia del calcio. Ripeto, a testa alta guardare avanti nella vita; il Milan è il Milan anche quando non vince nulla.
Stagione fallimentare? No, niente di tutto questo, perchè il fallimento dove starebbe? Uscire dalla Coppa Italia che in via Turati non “fa bacheca”? Arrivare (si spera) quarti in campionato per giocare i preliminari? Ci sono, facciamoli. Non vincere lo scudetto? Lo vincano i più forti, non sempre si può essere i più forti. Non perché ti chiami Milan devi sempre vincere, ci possono essere e ci sono anche stagioni storte.
Al Milan piace Montecarlo, al Milan piace il “Sol Levante”. Il Milan ci tornerà perché quella è la sua storia e sarà la sua leggenda. Il merito non è che del Nostro Presidente perché è così e chi non lo vuole ammettere, non è degno di tifare per questa squadra. È lui l’artefice di tutto questo. Ed è proprio per lui e per i ragazzi che a fine partita, seduto al mio posto mentre lo stadio si svuotava, mi sono accesso una sigaretta e li ho ringraziati né con un applauso, né con una risata, ma semplicemente restando lì a vederli uscire. Sapendo che i miei compari (Fabio e Felice) avrebbero impiegato una buona ventina di minuti a uscire mi sono letteralmente goduto quel momento. I tifosi ospiti in festa, i gunners in festa e i nostri che non vedevano l’ora di uscire dal campo. È stato tutto bellissimo, emozionante e stancante psicologicamente. Perché anche questo è il Milan, restare lì seduti e vederli uscire anche dopo un’eliminazione. Questo è l’insegnamento che hanno dato a noi amanti del buon calcio tutti i trofei vinti.
Il Capitano Paolo Maldini voleva arrivare a Mosca per concludere lì la carriera. Caro capitano, la tua carriera non si concluderà mai. La carriera di un giocatore si conclude solo quando quel giocatore “fugge” dalle memorie altrui. Ma tu, dove vuoi andare? Tu resti qui, nei nostri ricordi e nei nostri cuori. Quello che hai vinto lo sanno tutti. Volevi un’altra coppa dei Campioni? Lasciala vincere al prossimo capitano del Milan che sarà degno di indossare la fascia.
Grazie Milan
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