domenica 30 novembre 2008

Adios Matador

El Matador ha detto «basta».
Lo ha fatto senza inutili clamori, lontano dalla pompa delle stentoree conferenze stampa. Ha preferito la penombra dello spogliatoio, sfiancato dall'ultima partita, dopo aver dedicato l'ultima dobla al suo pubblico. Ha scelto Federico Valdès, Presidente dell'Universidad de Chile: «Sono troppo stanco. Per me finisce qui». Ha detto «addio» con voce flebile così come con sommessa discrezione è entrato nella storia del calcio, miglior marcatore di sempre della Roja.
C'è chi già si augura il suo ultimo eccezionale ritorno: è tornato al Monumental dove è stato proclamato matador; è tornato in patria, nell'Universidad, dove è diventato uomo. È tornato nella Roja del mago Bielsa per scrivere la storia: 18 novembre 2007, Qualificazioni al Campionato Mondiale di Calcio 2010, Estadio Nacional di Santiago, Cile-Uruguay 2-o, Salas, Salas. Trentasettesima e ultima rete di Marcelo in Nazionale, due in più di Ivan Zamorano: il Cile ha scelto il suo eroe, il suo matador.
Già, il suo ultimo eccezionale ritorno, nell'Universidad, per tentare di vincere ancora la Libertadores, dodici anni dopo il trionfo con i millonarios. Sarà il silenzioso raccoglimento a prendere l'ultima decisione al suo posto.
Noi -che delle Ande e del tango non conosciamo che i più snaturati e pallidi riverberi- lo ricorderemo in maglia biancazzurra, lauto e garbato, inchinarsi e ringraziare la sua gente, in estasi dopo ogni sua picada. Finchè i suoi muscoli, così deboli, gliel'hanno permesso...
Perchè il coraggio percorre una distanza breve, dal cuore alla testa. Ma quando se ne va non si può sapere dove si ferma; in un'emorragia, forse, o in una donna, ed è un guaio essere nella corrida quando se n'è andato, dovunque sia andato.

mercoledì 1 ottobre 2008

L'affaire Zarate

Registro in presa diretta: «Zarate segnerà altri cinque gol», «Zarate ha avuto culo», «Zarate è un fuoco di paglia» e cito Gazza: «ma se il folletto smettesse di segnare?». E non sarà che mentre tutti sentenziano sull'effimera estemporaneità dell'affaire, Zarate di reti ne segnerà altre venti?
Non ho mai nascosto le mie perplessità nei confronti degli attuali centravanti brevilinei (Messi escluso, naturalmente...), subisco ancora troppo la seduzione delle vecchie pellicole e delle foto di Boninsegna, Bettega, Kempes, Crujiff, Neeskens: campioni di prestanza, capelli lunghi, fisici scalfiti, sfrontatezza endemica. Ibrahimovic, Amauri, Torres... come quando a scuola -tutt'a un tratto- si smette di parteggiare per i pingui romani -tutti triclinio e uxoricidi- e si iniziano finalmente a caldeggiare le cause visigotiche e viva Vercingetorige! Viva le invasioni barbariche!
Devo ricredermi senza soluzione di continuità: sei reti in cinque giornate nella stagione d'esordio in Italia (come lui soltanto Falcao... sì! avete letto bene...) con un ammirevole campionario di soluzioni realizzative.
Mauro Matias Zarate, nato a Buenos Aires, ventun'anni, di famiglia agiata. Figlio d'arte: nonno Juvenal fu nazionale cileno; il padre, Sergio, giocò a lungo nell'Indipendiente de Avellaneda. Quintogenito, i quattro fratelli maggiori sono stati calciatori: Nestor (Velez Sar­sfield), Sergio Fabian (el raton, all'Ancona nella stagione 1992/93 -16 presenze, 2 reti- attuale procuratore di Mauro), Ariel Silvio (el chino, al Riccione nel 1996-97, ceduto in Spagna all'Elche dove ricorda: «Ho fatto un tunnel a Zidane: ho zittito il Bernabeu, ho a casa il quadretto di quell’episo­dio») e Rolando David (el roly, al Real Madrid per sei mesi nel 2000 -6 presenze e 1 rete- attualmente al Barcelona Sporting Club di Guayaquil).Mauro cresce calcisticamente nel Velez Sarsfield debuttando in prima squadra nel 2004. Nel 2005 vince il Clausura segnando 10 reti. Miglior marcatore dell'Apertura 2006 (a pari merito con Rodrigo Palacio del Boca) con 12 segnature, chiude l'avventura Velez nel 2007 (75 presenze, 22 reti), acquistato dal club qatariota Al-Sadd (sei presenze, quattro reti). Al Birmingham City nel gennaio 2008 (6 mesi, 14 presenze, 4 gol), dopo la retrocessione degli small heaths in Championship Division viene ingaggiato dalla Lazio (17 milioni con pagamento spalmato in tre anni è la cifra fissata per l'eventuale riscatto, più i 3 milioni già versati all'Al Sadd per il prestito stagionale).
Lotito è un vulcano: «Zarate è più forte di Messi» (il giorno della presentazione), «la Lazio è da scudetto» (poche ore fa). La verità sta nel mezzo: Zarate è la rivelazione dell'anno. Ma è già troppo tardi per dirlo perchè Zarate, intanto, potrebbe aver segnato ancora.

martedì 30 settembre 2008

Il derby di Hateley

28 OTTOBRE 1984. MILAN-INTER 2-1
Scomodarono persino il mitico John Charles. E poi Prati, un' altra icona del nostro calcio. E, pure lui, l'ex grande campione juventino si inchinò di fronte al prodigio del suo giovane erede, «il diavolo inglese», come i giornali britannici definirono Hateley: «Mark è un grande, davvero. E, un giorno, credetemi, la sua fama sorpasserà la mia. I difensori italiani sono bravi, ma contro i centravanti britannici come me e Hateley l'astuzia non basta. Con il suo talento sarebbe esploso anche in Inghilterra, ma al Milan ha trovato la via più breve per il successo».
Detto fatto: basta ricordare quella prodezza nel derby di andata della stagione 1984-85 per comprenderlo. Pallone fra i piedi di Altobelli che tenta di far ripartire la manovra nerazzurra, intervento deciso di Franco Baresi che gli ruba palla e serve Virdis il quale, giunto sul fondo, serve a centroarea un cross sul quale Hateley si avventa. Lo stacco, proprio sul dischetto del rigore, è fulmineo, tanto che Mark riesce ad anticipare nettamente Collovati. Vano il tuffo di Zenga, mentre il pallone si insacca nell'angolino alto alla sinistra del portiere. Un prodigio entrato di diritto nella storia. Del resto quel ragazzone di Derby (ironia del destino...), appena sbarcato nella Milano rossonera proveniente dal Portsmouth, segnò un gol da favola, che diede la vittoria ai rossoneri nel derby dopo un'attesa di sei anni. Un sollievo per i rossoneri, la cui ultima vittoria nella stracittadina risaliva a quella di andata del 1978-79, la stagione della stella.
Così ricordò Hateley a fine gara: «Ho visto arrivare quel pallone e mi sono buttato, saltando più in alto possibile. Pochi minuti dopo potevo segnare ancora, ma Zenga è stato bravissimo». Poi una sincera confessione: «Quando sono arrivato in Italia ero semisconosciuto. Le altre squadre prendevano Maradona, Platini, Zico e Socrates. Il Milan, che veniva da stagioni a dir poco infelici, puntava su di me. Roba da non credere». E fra i mille elogi dei vip presenti in tribuna d' onore, spiccò quello di Ugo Tognazzi che definì Hateley e Wilkins, con uno strano paragone gastronomico, come «due rare e raffinatissime spezie inglesi in un piatto divino». Su Hateley, invece, il suo tecnico Liedholm spiegò che con lui aveva «imparato molto in fatto di tecnica, ma molto poteva e doveva ancora fare. Il risultato, comunque, è sotto gli occhi di tutti». Nota statistica: prima di quel giorno, da oltre ventotto anni la squadra che passava per prima in vantaggio nel derby di Milano si era sempre aggiudicata almeno un punto.
Finché un giorno arrivò Hateley, l'uomo giusto per abbattere le statistiche. «Mi ha sbalordito» sussurrò Franco Baresi. Non solo lui. Fu un successo che fece arrabbiare moltissimo il presidente interista Pellegrini. Il quale, incontrando il collega milanista Farina negli spogliatoi, gli disse: «Complimenti: avete vinto una battaglia, ma la guerra sarà nostra». Si sbagliava. A fine campionato, l'Inter sarebbe arrivata quinta, Il Milan terzo dietro al Torino e all'indimenticabile Verona di Osvaldo Bagnoli.

venerdì 26 settembre 2008

Hic Sunt Leones


L'Estudiantes sa come si vince, perchè in un anno ha vinto tutto. Le hanno chiesto poi di ripetersi e non ci è riuscita, perchè per farlo bisogna avere la tempra che appartiene soltanto ai più grandi.
La Longobarda ha vinto e ora rivive i fasti del passato recente. Programmata per non fallire più.
I due presidenti/allenatori si conoscono da sempre. Hanno festeggiato, discusso, riso e pianto insieme: come fratelli. Domani saranno amici rivali.
Da qualche tempo si studiano, si annusano, si temono. Attendono questa partita da molto.
Il nuovo wonder boy, Alexandre Pato contro il deus ex machina, l'ex, Zlatan Ibrahimovic. La possanza di Amauri Carvalho contro la sfrontatezza di Marek Hamsik.
Avete qualcuno della squadra rivale a fianco? Stringetegli la mano, si fa così! E ora mettetevi sulla punta della poltrona, alzate il volume, concentratevi, vi stiamo portando dentro, vi stiamo portando dove corrono i leoni... È solo una partita di (fanta)calcio, ma è LA PARTITA.

venerdì 12 settembre 2008

Mojito Futbol Club

Lo chiamano blog ma è un'altra cosa: il Mojito Futbol Club è un sodalizio di amici cresciuti insieme o che insieme vanno ancora allo stadio.
Amici che potranno raccontarti storie incantevoli...
C'è chi a "paletti" era un fenomeno; chi ha giocato nella Mottese tra alti e bassi; chi ha rotto fiori, vasi e ogni sorta di suppellettile di casa propria o degli amici; chi -prima o dopo- ha capito che forse era il caso di cimentarsi in altro...
C'è chi almeno una volta da piccolo ha calciato -con fortune alterne- un rigore «alla Van Basten» e chi, a distanza di molti anni, almeno una volta ha comprato un giocatore al Fantacalcio soltanto perchè «a Scudetto era fortissimo...».
Il Mojito Futbol Club è un sodalizio di amici consacrato dalla passione per il (fanta)calcio che -tra le numerose vicissitudini del «diventare grandi» e le residue nostalgie del «come eravamo»- ogni settimana si occupa con dedizione incondizionata alla propria squadra ottenuta con sacro afrore in sede d'asta.
Noi a questo gioco parteciperemo per sempre, anche «da grandi», mentre le nostri mogli si incazzeranno con i nostri figli perchè torneranno dal parco, dall'oratorio (?) o dalle strade con le ginocchia "sbucciate" e le maglie sporche come dopo la battaglia di El Alamein.
Allora sì che prendendo le parti dei piccoli perchè «ma sì, cosa vuoi che sia, anche noi alla loro età...» rischieremo il divorzio, e sarà tutto così irresistibilmente divertente.
Ci piace pensare che sarà proprio così. O almeno, è un pensiero che ci fa sentire bene.

http://mojitofutbolclub.blogspot.com/

sabato 14 giugno 2008

Viva l'Italia

Viva l'Italia,
L'Italia delle "finali" sempre contro la Francia; l'Italia dei biscotti indigesti.
L'Italia dei comissari tecnici in ogni angolo di strada
L'Italia che «è un monologo azzurro» ma la Romania ha appena colpito un palo e san Gigi -protettore delle uscite in area piccola- ha già fatto i suoi primi miracoli quotidiani
L'Italia che il gol dell'Olanda era regolare ma andava annullato
L'Italia che il gol di Toni è stato annullato ma era regolare
L'Italia delle bandiere: quella del 17 giugno e del 9 luglio
L'Italia che Cannavaro va in panchina con le stampelle ma anche in queste condizioni farebbe meglio degli altri
L'Italia degli italiani che -inquadrati al minuto 89 contro l'Olanda- saltano, ridono e dicono «ciao mamma, siamo qua»
L'Italia di Casa Azzurri: suona Meneguzzi e allora chiediti perchè poi non si vince
L'Italia delle partite che non finiscono mai; l'Italia della probabile formazione pubblicata una settimana prima
L'Italia dei riti scaramantici, dei culti misterici, dei calzini portafortuna e dei posti fissi sul divano
L'Italia che «tanto se passiamo poi perdiamo contro la Spagna»
L'Italia che «Domenech è proprio un demente»
L'Italia che «se gli olandesi perdono contro la Romania sono dei corrotti ma noi al loro posto avremmo fatto la stessa cosa»
L'Italia che se attraversi la strada mezz'ora prima della partita è come se lo facessi al Radillon di Spa-Francorchamps

Viva l'Italia, l'Italia con gli occhi aperti nella notte triste
Viva l'Italia, l'Italia che resiste

venerdì 13 giugno 2008

Desiosa di lauro e non di mirto

Così lion, cui grave
su la giubba il notturno vapor cada,
se sorride il mattin sull'orizzonte
tutta scuote d'un crollo la rugiada,
e terror delle selve alza la fronte.

Canzon, l'italo onor dal sonno è desto;
però della rampogna,
che mosse il tuo parlar, prendi vergogna.
Ma, se quei vili che son forti in soglio
t'accusano d'orgoglio,
rispondi: Italia sul Tesin v'aspetta
a provarne la spada e la vendetta.

Vincenzo Monti, Per il Congresso d'Udine (1797)

sabato 7 giugno 2008

Il viaggio non finisce mai

Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: "Non c'è altro da vedere", sapeva che non era vero. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in primavera quel che si è visto in estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l'ombra che non c'era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre. Il viaggiatore ritorna subito.

Josè Saramago. Viaggio in Portogallo

Viaggio in Portogallo

Il Signor Raimundo Silva, parco impiegato dell’Estado Novo di Antonio de Oliveira Salazar presso il comune di Setùbal, si sentiva già disilluso dalla vita e dai versi del suo malinconico fado quando -non ancora ventenne- il 26 luglio 1966 dopo la sconfitta del Portogallo di Eusebio contro l’Inghilterra di Bobby Charlton disse: «Non c’è altro da vedere».
Quando poi con la stessa persuasione il Signor Raimundo Silva ripeté le stesse parole dopo il golden gol di Zidane nella semifinale degli Europei 2000 e più di tutto durante la finale 2004 dopo la rete del greco Charisteas (per lo più davanti a un Da Luz di Lisbona gremito in ogni ordine di posti) era ancor più fermamente convinto fosse proprio così. Lui che tifa per il Vitoria e pochi mesi prima si era sentito appagato sì per il successo del Porto di Mourinho in Coppa Campioni ma che tutto sommato non se l’era sentita di unirsi ai caroselli di Piazza Camões.
E non poteva certo credere che dopo i ritiri di Paulo Sousa, di Luis Figo e di o mestre Manuel Rui Costa il suo Portogallo potesse nuovamente fare il verso alle superpotenze calcistiche europee come i bambini tra le gambe degli adulti. Eppure ancora nel 2006 i lusitani protagonisti ai Mondiali tedeschi, sconfitti soltanto in semifinale da un acre dejavù griffato -ancora dal dischetto- Zinedine Zidane. «Non c’è altro da vedere» disse anche quella volta il Signor Raimundo Silva.
Eppure questa sera il Portogallo esordisce contro la Turchia nella sua settima partecipazione ai Campionati Europei di calcio (la quarta consecutiva). Bisogna vedere di nuovo quel che si è già visto, con il sole dove la prima volta pioveva, perché se nel 2004 Cristiano Ronaldo era una crisalide ingentilita da madre Eupalla e nel 2006 uno splendido esemplare di raffinata tecnica calcistica, oggi è diventato il giocatore più forte del mondo in cerca della definitiva consacrazione.
Totumque utinam! - il lamento di Teti dopo la morte del figlio Achille piè veloce; «Quando venni a saperlo…» - il risentimento di Alessandro il Grande per esser transitato in sella a Bucefalo di fianco alla fonte della vita eterna senza accorgersene; «Mas porque Nuno e Pauleta todos estes redes estão erradas!» l’inconsolato sconforto del Signor Raimundo Silva dopo le ordinarie sconcezze degli attaccanti portoghesi sotto porta…
Forse Cristiano -forte delle quarantaquattro reti stagionali- sarà in grado di risolvere l’ormai drammatico difetto di indicati centravanti lusitani invece di "limitarsi" a fare da abile surrogato, lui che esattamente un centravanti non è. O forse in quest’occasione Felipe Scolari (per il sesto anno alla guida della Portuguesa) sceglierà di giocare senza attaccanti di ruolo secondo la preziosa lezione della Roma modello Spalletti.
La batteria di centrocampo, ancora una volta di straordinario livello, presenta del resto giocatori di ispirata vena realizzativa e preziose soluzioni di inserimento con o cigano Quaresma (agli esordi nello Sporting partner proprio in fase offensiva di Ronaldo), Deco, Simăo Sabrosa e l’emergente Nani. Un altissimo coefficiente tecnico, lauto acconto di caviale e bollicine.
In difesa, a raccogliere la scomoda eredità di Fernando Couto e Jorge Costa (tutti d’accordo, non esattamente due campioni d’umorismo ma -è innegabile- più che validi difensori) Pepe, Carvalho, Bruno Alves (protagonista -insieme a Bosingwa, Quaresima e Meireles- della vittoria del titolo nazionale con il Porto) e Fernando Meira. Miguel e Paulo Ferreira saranno con ogni probabilità i due terzini, in mediana Joăo Moutinho -rivelazione dell’ultimo campionato portoghese con lo Sporting- giocherà in alternativa o in coppia con il prodigo Deco.
In attacco, insieme all’Apollon, Hugo Almeida (Werder Brema) e Nuno Gomez (bandiera del Benefica) sono valutati in buona forma mentre Helder Postiga, ex bambino prodigio del Porto sotto l’ala protettiva di Mourinho, ha definitivamente esaurito le scusanti a disposizione.
Il portiere Ricardo (in forza al Betis Sevilla) para i rigori -tanti- senza guanti e dalle parti di Futbolandia non occorre nient’altro per ottenere la massima approvazione.
Quante volte in definitva il Signor Raimundo Silva credette di aver visto tutto prima dei garofani rossi per le strade di Lisbona e quante altre prima che il Leviatano salvatore arrivasse dal villaggio di Fuchal -isola di Madeira- con la maglia numero sette a tracciare nuovi cammini.
Oggi bisogna ricominciare il viaggio.

giovedì 1 maggio 2008

Credo nelle rovesciate di Bonimba

Potente nei colpi di testa, veloce e dalla buona tecnica, una furia in aria di rigore. Poi una grande continuità di gioco, mai una partita in fase calante, novanta minuti sempre la massimo. Calciatori con queste qualità se ne sono visti pochi nel nostro campionato. Uno di questo sparuto esercito di supermen della domenica porta il nome di... Bonimba.
La prima immagine che abbiamo quando sentiamo il suo nome è quella di vederlo in azione con la maglia nerazzurra. Del resto lui è nato a Mantova ma con l’Inter sempre nel cuore. Da ragazzo segue le trafile nella squadra nerazzurra.Arriva il giorno con il provino con Herrera, ma lui lo boccia; grande la delusione per il giovane Roberto che incomincia la sua carriera in squadre minori. Prato e poi Potenza in serie B fino ad arrivare al Varese, società di grandi ambizioni e dai giovani validi. Per uno scherzo del destino il suo debutto in serie A avviene proprio nella “sua” S.Siro e contro l’Inter il 4 settembre 1965, contro la squadra che al momento è la più forte del mondo. Finirà 5 a 2, con Boninsegna che guarda con rammarico la panchina dove vi è quell’uomo che gli ha negato di giocare nel club dei suo sogni; collezionerà 28 presenze con 5 reti ma il suo Varese termina all’ultimo posto in classifica.
Roberto comunque comincia ad interessare a diversi club e a fine stagione arriva il passaggio al Cagliari. Il tecnico della squadra sarda si chiama Puricelli e di giocatori validi nei colpi di testa se ne intende e vuole che Roberto formi un micidiale tandem d’attacco con un giovane ma già forte Gigi Riva. I due sono molto simili tecnicamente, ma la coppia macina gol e i due diventano grandi amici. Valcareggi lo prova anche in nazionale; debutto contro la Svizzera il 18 novembre 1967 in una partita per le qualificazione per la Coppa Europa. Quella partita rimase un evento isolato.
Una lunga squalifica di ben nove turni (inizialmente la lega lo squalificò per undici partite), a causa di una sua irruenza nella partita Varese-Cagliari lo allontanò dagli occhi dei tecnici della nazionale e condizionò non poco il campionato della sua squadra. Roberto non viene più convocato in azzurro e per lui solo la tv per assistere alla vittoria in Coppa Europa. Nel club sardo giocherà tre campionati, tornei dove diventerà protagonista in una squadra che nella stagione 68-69 giungerà ad un passo della scudetto. Nel Cagliari arriva Scopigno che vuole ampliare la rosa della sua squadra per lui giudicata troppo esigua e gli unici giocatori che sono richiesti da grandi club sono lui e Gigi Riva. Scontata quindi la sua partenza. Roberto impone una condizione; lascerà il Cagliari solo per andare all’Inter.Si scioglie il binomio Boninsegna-Riva, ma solo per poco visto che lo ritroveremo presto nei mondiali messicani. L’affare alla fine viene fatto con il club nerazzurro alla ricerca di una nuova punta. Nell’Inter di quel periodo infatti Mazzola abbandona il ruolo di centravanti per quello di mezzala offensiva e serve un uomo da area di rigore. Arrivano ben tre giocatori di livello in cambio delle sue future prodezze con i neroazzurri: i loro nomi sono quelli del Cagliari dello scudetto: Domenghini, Gori e Poli.Il sogno di Boninsegna finalmente si realizza. Primo campionato all’Inter e anche per quest’anno scudetto perso di un soffio; tutte le partite come centravanti e 13 reti per vedere lo scudetto vinto dal suo amico Gigi Riva. Viene convocato fra i 40 pronti per il mondiale messicano ma non fa parte dei definitivi 22; poi ecco l’infortunio ad Anastasi e la richiesta di due punte al posto di Lodetti. Lui e Prati si aggiungono alla schiera azzurra poi la scelta di Valcareggi quella di presentarlo in coppia con Riva, una copia inedita ma solo in nazionale. La storia la conoscete tutti; Boninsegna torna ormai protagonista del nostro calcio e sta per iniziare una grande campionato, quello della stagione 1970-71.La stagione dopo il mondiale messicano vede subito Boninsegna fra i protagonisti; da riserva a titolare azzurro a uomo gol nelle finali e l’Inter ha l’ambizioso compito di superare il Cagliari di Gigi Riva, grande favorito.
Il club neroazzurro torna ad essere la squadra di sempre grazie ad il nuovo allenatore Giovanni Invernizzi, che subentra alla sesta giornata ad Heriberto Herrera e riprende una squadra sotto tono e la rilancia in classifica.I neroazzurri sembrano tornare quelli delle stagioni mitiche di qualche anno prima; del resto gli uomini di classe sono sempre quelli e in più c’è Boninsegna. Arriva lo scudetto tanto sospirato grazie anche ai suoi gol che sono ben 24 e vince il titolo dei cannonieri. Nella stagione successive l’ambiziosa Coppa Campioni e Roberto è protagonista della strana ed epica partita contro i campioni di Germania del Borussia;
nella semifinale in terra tedesca una lattina lo colpisce alla testa lasciandolo tramortito. Dopo una lite colossale la partita vede l’Inter arrendevole perdere nettamente. Subito l’avvocato Prisco presenta ricorso all’UEFA e da il meglio di se nel successivo “processo”; la partita non viene data vinta a tavolino ma ripetuta. Solo un pareggio per 0 a 0 e l’Inter, grazie alla vittoria all’andata per 4 a 2, arriva alla finale contro l’Ajax di Cruijff e la sfortuna, specialmente nel primo gol, e la classe dell’Ajax surclassano Mazzola e compagni.In campionato solo il quinto posto per i campioni d’Italia, con lui sempre primo nella classifica dei marcatori pronto a far valere la sua grinta e testardaggine in area avversaria con ben 22 reti. Seguono anni dove Boninsegna è protagonista con i suoi gol della classifica cannonieri ed è un rigorista infallibile; suo il record tuttora imbattuto di ben diciannove calci di rigore consecutivamente realizzati ma la squadra non torna ai livelli della felice gestione Invernizzi.In nazionale il rapporto con Valcareggi non è dei più felici, preferendogli più di una volta Anastasi. Nella squadra nerazzurra torna il mago Herrera alla ricerca di non facili miracoli e lo vuole subito accantonare ma sul campo Roberto dimostra sempre di essere fra i migliori attaccanti in circolazione e realizza 23 reti.
Partecipa come riserva ai mondiali del 1974, per lui solo il secondo tempo con la Polonia, e viene rilanciato in azzurro giocando anche nella nazionale di Fulvio Bernardini. Saranno solo tre partite, contro la Jugoslavia, l’ Olanda, dove realizza la rete del momentaneo vantaggio, e la successiva amichevole sperimentale con la Bulgaria. Lascia la nazionale con 22 presenze e nove reti, per un calciatore che forse meritava più attenzione. Mentre nei campionati successivi l’Inter parte sempre favorita per concludere sempre e solo in zona UEFA, il presidente Fraizzoli vede Boninsegna responsabile della crisi interista; nel campionato 74-75 solo nove reti e dieci nel torneo successivo pochi per un centravanti di una squadra che lotta per lo scudetto.Nel 1976 arriva lo scambio fra due protagonisti del calcio, sicuramente non più giovanissimi. La Juventus lo vuole ed in cambio offre Anastasi... Sembra un affare per l’Inter, considerando l’età dei due bomber; Roberto ha già 33 anni, mentre Anastasi ben cinque di meno.
Scambio fatto ma nel tempo il vero affare lo fa la società bianconera. Con cuore sempre nerazzurro lascia Milano con grande amarezza ma lo aspettano anni ricchi di soddisfazione; vince due scudetti insperati per un giocatore non più giovanissimo che entra in perfetta sintonia con Bettega e infine anche la Coppa UEFA, il trofeo internazionale che mancava al tosto bomber lombardo. Non ultima la soddisfazione di realizzare una doppietta alla sua Inter! Nel campionato 1979-80 gioca il suo ultimo campionato con la casacca del Verona in serie B, lasciando il calcio giocato ancora come un protagonista. Boninsegna rimane l’immagine del bomber buono ma scorbutico, completo e forte anche di testa, falloso quanto basta e comunque grande personaggio del favoloso calcio degli anni 60/70.

sabato 12 aprile 2008

Ma dov'è il Pepin?

Lo aspettano. Si sfilano gli orologi dal panciotto, i dirigenti. L'avete visto? E' arrivato? No. Ma come?, sono quasi le due... Fra un' ora si gioca. Non c'è. Ma dove può essere finito. Incredibile, non può essere sparito, ieri sera aveva chiesto il permesso ai dirigenti e glielo hanno dato. Lui è di parola... era di parola.... Lui è Giuseppe Meazza, detto el Pepin.
Siamo nel 1937. Vigilia di Inter-Juve. I nerazzurri e i bianconeri sono tutti allo stadio. Tutti tranne Meazza. Il numero uno dei numeri uno. La stella, il cannoniere, il divo, il campione, quello con lo stipendio più alto e l'automobile più bella. Meazza centravanti dell' Ambrosiana Inter è atteso e tutti sono in ansia. Raccontano che quelli della Juventus già si fregavano le mani e si guardavano intorno con aria furtiva. Eh eh... se non arriva... Non arriva e il panico già serpeggia. Non si sarà mica fatto male? Ah, quella maledetta automobile... Lui va forte, gli piace guidare, andare in giro. Ma ieri era sabato e lo sapeva che c'era la Juve, lo sapeva. Disperazione negli spogliatoio dell'Inter.
Poi, senza dire nulla a nessuno, il massaggiatore sale con un accompagnatore su un auto e prende la direzione del centro. Entrano, i due, in una rinomatissima casa chiusa, in quei tempi casino. Forse è lì. A lui piacciono le donne. El Pepin non sa resistere, è giovane e voglioso. Oddio, potrebbe permettersi altre cose, ma lì è più tranquillo. Lo trovano. Pepin Meazza è ancora a letto. Sono passate le 2 e lui dorme profondamente. Giurano di averlo sentito anche russare. A quell'ora. Lo svegliano, lo portano allo stadio, senza che si lavi la faccia. Dài, forza, sbrighiamoci, dài che ce la facciamo.
Pepin, in confidenza con il massaggiatore, racconta di una pesante notte amorosa. Adesso come ti senti, Pepin? Raccontano che nell' automobile, seduto dietro, si era stiracchiato: un leone, mi sento. Un leone. Il leone Pepin entra negli spogliatoi, gli infilano al volo la sua maglia numero 9. Pepin Meazza va in campo e gioca e segna. Segna due gol contro la Juventus.
E' il migliore in campo, l'Inter vince e poi vincerà lo scudetto. Juve seconda. Il presidente e i dirigenti lo accarezzano: ci hai fatto quasi prendere un colpo. E lui: tranquilli, el Pepin non tradisce. Non tradisce i suoi compagni, i suoi dirigenti, i suoi tifosi e le sue amanti. Tante. Ne aveva tante, el Meazza. Non gli pesavano. Era solo infastidito dai ritiri (si fa per dire), dal sabato tutti insieme. Lui amava il calcio e la vita. E' diventato un maestro di calcio, un insegnante. Adesso lo stadio di Milano, zona San Siro, si chiama Stadio Meazza. Ritiro, sesso, gol, fughe, scappatelle e altri piccoli peccati.
Germano Bovolenta

venerdì 11 aprile 2008

Ma dov'è il Pepin? II

Negli anni Trenta, grondanti di moralismo fascista, i calciatori - raccontano i memorialisti - in quanto a libertà sessuale se la passavano meglio. Come negli anni Quaranta e Cinquanta e Sessanta. Sino ad arrivare alle epoche di Helenio Herrera e Nereo Rocco. Scappavano dagli alberghi e dai ritiri per finire in altri alberghi e in altri ritiri.
L'Inter di Helenio Herrera detto il Mago è spesso stata al centro di chiacchiere e pettegolezzi. Il Mago era severo, controllava e faceva controllare. La sera, il sabato sera, quando la febbre del desiderio era più alta di quella della partita, il Mago ordinava ispezioni e agguati e trabocchetti. Appello contrappello, giro delle camere, sono le dieci e tutto va bene. Dentro questo miscuglio di piccole storie e di fughe e di tentativi di fughe, entrano di diritto Antonio Valentin Angelillo e la ballerina Ila Lopez. Ma quella era anche una bella storia d'amore, non gradita, non accettata dal Mago, fustigatore -allora- di costumi. Degli altri.
Angelillo è costretto a lasciare anche, soprattutto, per la scottante relazione. Ma quella era una scusa bella e buona: non gli piaceva, Angelillo. Non gli piaceva come giocatore e allora tutti gli agganci era buoni e utili. Questo ad Appiano Gentile, in provincia di Como.
Dall'altra parte, in provincia di Varese, Milanello, anche i rossoneri avevano i loro problemini. Nereo Rocco, el Paron, era un finto tollerante. Con lui non scappava nessuno, ricordano. Era molto discreto e faceva sorvegliare a distanza. Anche sotto il profilo alimentare. Di notte i giocatori scendevano nelle cucine e prendevano d'assalto le dispense. Sono stati trovati spesso con le mani nel sacco. Con dei paninazzi di mortadella in mano. Era il medico, il giovane dottor Giovan Battista Monti, incaricato a scovarli e riportarli a letto. Erano i tempi del fumetto Diabolik, e Monti venne ribattezzato Ginko, l'ispettore, quello che dava la caccia a Diabolik. E lo ancora, per i vecchi amici: il dottor Ginko.
Ginko però nulla poteva contro le bramosie d'amor di Bruno Mora. La focosa ala destra piaceva alle donne e le donne piacevano a lui. Prendeva e andava. Poi tornava sereno, fresco e libero. Rocco, chiedeva: el mona xe tornado? Sì, paron. Bene, siamo a posto. Rocco era così. Anche lui tornava tardi, dall'Assassino, dopo robuste mangiate e sobrie bevute. Capiva, sapeva, comprendeva. Non come quel mona de Mago, dirà. In quell'Inter, del Mago, c'era Armando Picchi il severo Armando Picchi che poi diventerà l'allenatore della Juve. Un giorno Helmut Haller scappa dal ritiro e Picchi va a prenderlo e lo riporta a casa per un orecchio. Il ribelle Sivori non è mai scappato. Si racconta che una sera, un sabato, una giovane è entrata, non si sa come, nella sua camera e lui l'ha fatta cacciare. Poi le recenti storie di Gullit. Ruud non scappava: lo lasciavano andare. Era un purosangue, quando gli venivano gli attacchi partiva al galoppo e al galoppo ritornava. Come Pepin Meazza. Fuoriclasse dentro e fuori dal campo.
Germano Bovolenta

giovedì 10 aprile 2008

Dissertazione sopra Cristiano Ronaldo

di Felice Pellegrino

Uno dei motivi per cui il calcio è uno degli sport più seguiti del globo è sicuramente il fatto che tutto (o quasi) nel mondo del calcio sia opinabile.
Il titolare di questo blog ha deciso di dedicare un articolo ad uno dei calciatori più in auge in questo periodo storico: Cristiano Ronaldo. Sorvolando sull'inutile e fastidioso dilungarsi circa quanto il suddetto calciatore piaccia alle donne o su quanto si diverta a specchiarsi in se stesso o su quanto sia futbolandia mandare in gol gli avversari (per carità...), mi piacerebbe confutare il risultato finale dell'analisi del buon Fabio.
Nel calcio, dicevo, è quasi tutto opinabile... alcuni punti fermi si sono però sviluppati nel tempo in relazione all'esistenza di determinati ruoli. Innanzitutto abbiamo una prima sommaria divisione in portieri, difensori, centrocampisti e attaccanti. Ora, risultando evidente al mondo intero come Cristiano Ronaldo non rientri nelle prime 2 categorie, cerchiamo di capire in quale delle restanti lo si possa inserire. Nella categoria dei centrocampisti troviamo: i centrocampisti di impostazione, detti comunemente registi; i centrocampisti di rottura, detti comunemente interdittori; i centrocampisti offensivi, detti comunemente mezzepunte o fantasisti. Inoltre si collocano nella categoria dei centrocampisti anche le Ali: coloro che giocano sulle fasce laterali del campo. Nella categoria degli attaccanti poi possiamo considerare: il centravanti, il simbolo del goleador; la seconda punta, colui che per caratteristiche gioca un pò più indietro del centravanti per cercare spazi in cui infilarsi; l'attaccante esterno, figura questa non dotata di una autonomia ontologica in quanto il ruolo da sempre è un misto di "doveri" tattici (devi coprire come un centrocampista quando la squadra difende ma devi anche essere capace di attaccare come un'attaccante in fase di possesso... ufff...).
Orbene il titolare del blog era partito bene individuando come Cristiano Ronaldo nasca essenzialmente come un'ala destra: quella è da sempre la posizione in cui gioca, quello è il ruolo per cui il suo cartellino è stato comprato dal Manchester United. Qui però Fabio incomincia a perdere le fila del discorso e va in confusione: egli infatti inverte quella che è la visione più recente del calcio sostenendo che l'attaccante moderno viene identificato con i Riva, i Boninsegna, i Toni, i Drogba quando invece sono proprio i Torres, gli Ibrahimovic, gli Henry (ma si... anche il Papero) ad essere considerati esempi di attaccanti moderni. La spiegazione di questo errore è molto semplice: Fabio considera, emerge chiaramente dall'articolo, l'attaccante una sottocategoria del centravanti mentre, come abbiamo illustrato più in alto, è proprio l'opposto. In questo modo i "bomber" del passato e del presente da lui citati vanno inseriti nella categoria di centravanti. Ben'inteso non tutti i centravanti hanno quelle stesse caratteristiche fisiche: Inzaghi Filippo è sicuramente un centravanti pur non essendo massiccio come Toni o Drogba; Fernadndo Torres è anch'egli un centravanti. Anche di centravanti, è evidente, esistono più categorie.
La stessa descrizione delle caratteristiche di Cristiano Ronaldo fornita da Fabio (la magnifica corsa, la capacità di inserimento ecc...) e la storia del giocatore ci rendono possibile escludere il suo inserimento in questa categoria: lo stesso manager dello United, Ferguson, non lo utilizza come centravanti, alternando in quel ruolo Rooney e Tevez.
Dobbiamo ora considerare se Cristiano Ronaldo possa essere considerato un attaccante non centravanti. Gli esempi nel mondo del calcio di tipologie di attaccante sono molti: ci sono gli attaccanti alla Ibrahimovic, gli attaccanti alla Messi, quelli alla Di Natale, quelli alla Eto'o e cosi via. Tutti questi calciatori, pur nella loro diversità, sono accomunati da una caratteristica: anch'essi, come il centravanti, hanno lo scopo di finalizzare il gioco della squadra, sfruttando al meglio i palloni loro recapitatigli. Mi sento di poter dire che, per il momento, il calciatore di cui stiamo discutendo non rientra in questa categoria.
Ma allora cos'è Cristiano Ronaldo? Esclusa la categoria degli attaccanti (non cito l'attaccante esterno perhè come detto prima non lo considero un vero ruolo) non ci resta che ricadere in quella dei centrocampisti: qui la scelta non può che restringersi all'ala o al trequartista. Ebbene credo che Cristiano Ronaldo sia un grandissimo trequartista. Nella visione classica del calcio il trequartista è stato individuato quasi sempre con quel giocatore che si muove dietro le punte al centro del campo. Baggio è stato quel tipo di giocatore, così come Rui Costa oppure Zidane. Oggi però stanno nascendo trequartisti nuovi, per i quali il simbolo non può che essere Kakà: trequartista vero che però svaria su tutto il fronte dell'attacco, destra centro e sinistra, senza che ciò ne vada ad intaccare l'essenza del ruolo. Ecco Cristiano Ronaldo è proprio come Kakà. L'unica rilevante differenza è che al calcio d'inizio Kakà parte centrale e Cristiano Ronaldo, in virtù della sua storia calcistica, parte largo a destra. Ma subito dopo appare chiaro che il modo di giocare dei due fuoriclasse sia tremendamente simile. E' questa quindi la natura dell'attuale Cristiano Ronaldo: un trequartista dell'ultima generazione, che abbina all'ottima tecnica, la straordinaria velocità, il pregevole dono del sapere servire magnifici assist e un fiuto del gol incredibile, doti che lo pongono sicuramente fra i migliori calciatori in circolazione.

martedì 1 aprile 2008

Il centravanti postmoderno

C'è un calciatore portoghese in forza al Manchester United che si chiama Cristiano Dos Santos Aveiro, meglio noto al mondo come Cristiano Ronaldo secondo la comune consuetudine lusitana di personalizzare le generalità nomastiche.
Ha ventitrè anni e, nonostante la sua ancora giovane età, molti considerano la stagione attuale quella della sua attendibile e definitiva consacrazione. Ma in quale ruolo gioca? Ala destra? Centrocampista offensivo? Trequartista?
Bene, in un momento come questo (perlopiù di campagna elettorale!) -dove sembra essersi consolidato il gusto per la conveniente etichetta, rispondendo all sempre più esasperata necessità di facili e immediate identificazioni- si sente sempre più spesso parlare di perfetti esemplari di attaccanti moderni dalle caratteristiche però spesso ricondotte, per mezzo di anacronistiche dietrologie, a grandi calciatori del passato come Riva, Bettega, Boninsegna. Ed è così che Luca Toni, Ruud Van Nistelrooy e David Trezeguet diventano massimi interpreti del moderno ruolo d'attacco. Poi ci sono Fernando Torres, Thierry Henry e Zlatan Ibrahimovic, che alle effettive capacità fisiche (massima prerogativa dei primi) aggiungono notevoli specificità tecniche e atletiche. Poi c'è -stato- un fenomeno (Ronaldo) e c'è un autentico fuoriclasse, Leo Messi, in quanto tale difficilmente comparabile con le altre tipologie elencate (o ancora elencabili).
E Cristiano Ronaldo? Il portoghese è un centrocampista esterno, pertanto a sua volta e verosimilmente non riconducibile per ruolo di appartenenza -nonostante le innegabili e spiccate propensioni "macro" offensive- agli attaccanti precedenti.
Anche perchè gioca con la maglia numero 7 (che a Manchester fu di George Best, Eric Cantona e David Beckam) ma a due mesi dal termine dell'attuale stagione ha segnato complessivamente 36 reti, grazie a una quantità sostanzialmente illimitata di soluzioni realizzative. Calcia benissimo con entrambi i piedi (anche dalla lunga distanza), attacca gli spazi e si inserisce senza palla con appetibile sollecitudine, "salta con il giusto tempo" per colpire di testa. Infallibile da sempre dal dischetto, si sta specializzando nel calciare le punizioni con un nuovo "effetto" che sembra destinato (a detta di molti portieri già battuti) a consegnare agli archivi le soluzioni dei massimi specialisti ancora in attività come Alessandro Del Piero, David Beckam, Juninho Pernambucano e -ultimo in ordine d'arrivo- le «maledette» (Fabio Caressa, cit.) di Andrea Pirlo. E segna reti molto singolari (come quella di sabato contro il Derby che chiamare "di tacco" sarebbe forse riduttivo) forse destinate a restare dei godibilissimi apax o forse no...
Senza considerare il fatto poi che la semplicità irrisoria con cui si libera sistematicamente del più diretto marcatore, l'inesauribile corsa, la naturale e spontanea visione di gioco (ma, proprio perchè non ancora ingentilita, a mio avviso ancora sensibilmente migliorabile) permettono all'intera squadra, e soprattutto alla batteria d'attacco, di giovare così copiosamente dei suoi servizi.
Non ha ancora abbandonato -sebbene ridotto drasticamente- l'irriverente numero a sensazione fine a sè stesso e talvolta inopportuno (chi si ricorda dell'amichevole test-match di preparazione ai Mondiali 2006 tra Portogallo e Brasile in cui due suoi tentativi malriusciti di elastico a centrocampo mandarono in porta gli avversari consentendo alla selecao di pareggiare 3-3 un incontro letteralmente dominato dai lusitani? Futbolandia...) che spesso costa l'ira funesta di Sir Alex Ferguson ma che lo rende così irresistibile agli occhi dei più piccoli (insieme ai giochi di prestigio negli spot pubblicitari, quelli che -come un cubo di Rubik- all'oratorio non riuscivano mai, nemmeno lontanamente, nonostante la dedizione adoperata).
Piace da sempre agli esteti del calcio per la sua incantevole tecnica, da poco ai più intransigenti epigoni dell'oltranzista risultato e del dato concreto.
Piace anche al pubblico femminile che, al di là di ogni plausibile giudizio calcistico, ne apprezza la sembianza estetica, amalgama di un insolente fascino gitano (ottenuto anche attraverso l'utilizzo "estremo" del gel per capelli) e di una recondita delicatezza da wonder boy (chissà che cosa nasconde quel misterioso broncio, irrinunciabile anche quando è Cristiano on fire...).
Miss Maria Sharapova si è dichiarata disposta persino a voti divini per poter ottenere un appuntamento, ma Cristiano preferisce altri lidi, come festeggiare le vittorie di FA Cup con trasferte capitoline in jet privato per l'ammaliatrice compagnia di gaudenti odalische. O come chiedere tramite sms a gentili creature il colore delle mutandine da loro indossate, niente di strano (o perlomeno di così stravagante) se non lo facesse durante gli allenamenti mattutini della squadra.
Si compiace della sua bellezza beandosi dell'imponente autoritratto in mosaico e in vesti da torero sistemato all'ingresso di una delle sue numerose abitazioni, salvo poi disperarsi ai limiti dell'irragionevole commozione per l'ennesimo "quasi gol" contro il Sunderland ultimo in classifica e sfogare con divertente teatralità tutta la sua frustrazione a fine raggiunto (ovvero dopo l'immancabile rete).
Un unicum del calcio mondiale, istrionico primattore in campo e fuori. Un attaccante moderno? L'esatto contrario: il centravanti postmoderno.
Centravanti perchè non è un attaccante (anche se l'accezione, ormai poco utilizzata al di fuori di Futbolandia, ricorda così limpidamente giocatori del passato già citati e oggi irriverentemente prestati alla mera targhetta), postmoderno perchè così eccentrico da ricordare un giardino di sentieri che si biforcano o, se preferite, una rete di linee che si allacciano e che s'intersecano.

sabato 29 marzo 2008

Aitìa del mito rosa

Si dice gazzetta, si pensa giornale. Avviene nella vita comune, ma il vocabolo "gazzetta" hun'etimologia diversa: nel 1500 si chiamava così una moneta di bassa lega coniata a Venezia he valeva due soldi, quanti ne occorrevano per acquistare un foglio di informazioni che la gente prese a chiamare gazzetta. Dalla monetina al giornale il passo è breve. E gazzetta è diventato sinonimo di giornale (sport deriva invece da un termie francese, anxi provenzale, del XIII secolo, deportes o desportes: indicava gli spostamenti,i trasporti necessari per poter svolgere giochi e attività all'aperto, dla caccia alla lotta). "Gazzetta" è anche il nome dato agli strilloni che vendevano il giornale per strada.

Sportweek, anno IX, n.12 (396), 29 marzo 2008, p.101

sabato 15 marzo 2008

Alla corte dei miracoli

1977/78: Gli uomini di G.B. Fabbri stupirono l'intera penisola con un calcio spettacolare mai visto giocare prima da una provinciale. Su tutti, l'esplosione di uno straordinario Paolo Rossi, che a fine stagione guadagnerà la Nazionale di Bearzot per i mondiali argentini.

Al termine della stagione 1974/75 il Lanerossi Vicenza precipita in serie B, un evento, considerando la permanenza record di ben venti anni nella massima serie, il più delle volte condita da salvezze all'ultima giornata. Ma questa volta il miracolo atteso dai tifosi non c'è, la politica del compra-valorizza-vendi che tanto bene aveva svolto il presidente Giussy Farina non riesce a dare i propri frutti e la squadra che scende di categoria è ormai vecchia, svalorizzata e non più avezza al clima infernale della serie cadetta.A guidarla nella nuova ed inedita avventura, ancora il "filosofo" Scopigno, che aveva rilevato Puricelli nella stagione precedente non riuscendo però nell'impresa di salvare i biancorossi. L'inizio in serie B è stentato oltre ogni previsione, e per di più Scopigno dopo poche giornate si ammala gravemente ed è costretto a passare la mano a Cinesinho, che riuscirà a condurre il Lanerossi ad una sofferta salvezza, dopo aver intravisto lo spettro della serie C.

La squadra dei sogni parte lunga, dalla Serie B della stagione '76-77, e nasce tra i mugugni di una piazza che attendeva nomi altisonanti dalla campagna acquisti e si trova di fronte un pugno di ragazzi e un tecnico dalle idee moderne e poco tranquillizzanti. Si chiama Giovan Battista Fabbri, il timoniere: uno che dei grandi nomi se ne infischia perché punta sul collettivo e che ha appena subito una bocciatura cadendo in C con il Piacenza. I nuovi acquisti del presidente Giussy Farina, che deve preoccuparsi anche di far quadrare il bilancio, si chiamano Paolo Rossi, Salvi, Cerilli. A Vicenza c'è malumore. Cerilli è noto solamente perchè ha fallito clamorosamente nell'Inter, dove in tanti, Fraizzoli in primis, lo vedevano come il nuovo Corso ma dove in due stagioni racimola solamente diciannove presenze per una sola rete. Salvi invece ha già 31 anni e una vita alle spalle con la maglia della Sampdoria, insomma non proprio un giovane in cerca di successo nei campi infuocati della serie B. Per finire, Paolo Rossi. Uno scarto della Juventus che anche a Como faceva panchina (sei presenze e zero reti la stagione 75/75) e che Boniperti riesce a dirottare in comproprietà a Vicenza. Non bastasse, il vecchio bomber Sandro Vitali si impenna, né combina un'altra delle sue e molla il ritiro e il calcio lasciando i tifosi nel panico.

Sarà un inferno, prevedono le cassandre. Non bastasse, alla prima di campionato i biancorossi cedono per 2-0 di fronte ad un non irresistibile Avellino.E invece la stagione è d'oro: corroborato da tre vittorie consecutive, Fabbri indovina le potenzialità di Rossi, che durante la stagione si guadagna la convocazione nell'Under 21, e il suo Vicenza mette in mostra un gioco raffinato, moderno, con Paolino alla guida di un gruppo che non sbanda (quasi) mai. Nei momenti di stanchezza affiora nella tifoseria una punta di insofferenza, ma anche se la squadra a lungo andare concede sempre meno allo spettacolo, anche se finisce in affanno, la Serie A è riconquistata. A Vicenza esplode un carnevale fuori stagione, Corso Palladio è una bolgia di allegria ed entusiasmo. Paolo Rossi ha segnato 21 reti, è il capocannoniere della serie cadetta ed è già un pezzo pregiato per il mercato ma Farina lo convince (aumentandogli l'ingaggio, da 8 a 50 milioni) a restare per affrontare insieme la grande avventura della serie A.E il Real Vicenza di Gibì Fabbri si affaccia alla Serie A con le pile ancora cariche, l'adrenalina a mille e una dannata voglia di stupire il calcio italiano. Giussy Farina, che a fine stagione aveva annunciato il ritiro, non trova acquirenti per la sua creatura «costruita spendendo un pugno di lenticchie e che oggi ha quadruplicato il suo valore». Cosi il presidente fa marcia indietro e resta alla guida del gruppo.

continua...

venerdì 14 marzo 2008

Alla corte dei miracoli II

1977/78: Gli uomini di G.B. Fabbri stupirono l'intera penisola con un calcio spettacolare mai visto giocare prima da una provinciale. Su tutti, l'esplosione di uno straordinario Paolo Rossi, che a fine stagione guadagnerà la Nazionale di Bearzot per i mondiali argentini.
La stagione però parte malissimo, peggio della precedente. Un incolore 0-0 al Bentegodi per il derby veneto bagna il ritorno dei biancorossi in serie A, seguito da due sconfitte interne contro Inter e Torino. D'accordo, il calendario non è amico, anche perchè alla quarta di campionato i biancorossi ne buscano tre dal Milan a San Siro, ma anche in quella che avrebbe dovuto essere la gara del riscatto, al Menti contro un timidissimo Pescara, Il Vicenza fatica a contenere la gara sul pareggio. Tre sconfitte e due pareggi nelle prime cinque giornate. Farina si guarda intorno, interroga Fabbri sul da farsi per il mercato di riparazione autunnale e sull'attuale schema di gioco dei biancorossi, che nonostante le due punte (Rossi e Vincenzi) fa una fatica terribile a trovare la via della rete.La risposta sta nel campionato precedente: riprendere in mano gli schemi sbarazzini e arroganti utilizzati nell'anno della promozione e giocarsi li tutto per tutto a viso aperto anche in serie A.
Contro-ordine è quindi il rimedio: da Monza in cambio di Vincenzi rientra in fretta e furia Cerilli, mai ambientato e fuori fase, e da Como arriva un certo Mario Guidetti, oscuro mediano con alle spalle una manciata di presenze in serie A e pure non proprio giovanissimo.Fabbri a Bergamo per la sesta di campionato sa di giocarsi la panchina. Niente doppia punta, Rossi solo in avanti con Filippi e Cerilli sulle fasce, Faloppa e Salvi a centrocampo e Guidetti sulla mediana davanti alla difesa e pronto per improvvise proiezioni offensive. Dietro, Callioni Prestanti e Lelj, coperti dal magnifico e sfortunato libero Carrera (un'altra scommessa di G.B.), coprono l'ottimo Ernesto Galli in porta (uno dei pochi portieri a giocare ancora senza guanti...).
Al 32' L'Atalanta si porta in vantaggio con Rocca ed a questo punto il Vicenza si trova di fronte ad un bivio. La strada giusta la indica Guidetti, che 6 minuti dopo pareggia i conti con un incursione delle sue. I ragazzi di Fabbri ci credono, il gioco si fa spumeggiante come nelle migliori giornate della stagione precedente, Rossi al 46' porta in vantaggio i suoi e al 51' addirittura è 3-1 ancora Guidetti. Finirà 4-2 con un apoteosi biancorossa e la ferma convinzione tra i giocatori che anche in serie A c'è posto per loro.Convinzione che la domenica successiva si consolida quando al Menti arriva la Lazio: 2-1 finale con ancora Rossi in rete e stoccata finale dello stopper Prestanti.La stampa inizia ad accorgersi dell'armata di Fabbri, Paolo Rossi inizia a guadagnarsi le prime pagine dei giornali, Fiorentina e Roma sono castigate rispettivamente per 3-1 e 4-3 con due doppiette di Paolino e tanto, tanto bel gioco.
Contro la Roma sono addirittura fuochi d'artificio con Ernesto Galli che al 90' para un rigore all'ex Agostino Di Bartolomei consentendo al Lanerossi di portarsi al terzo posto in classifica.Piccolo break allo Zaccheria con un tenace Foggia (1-1 finale) e via ancora con altre due vittorie (Bologna e Genoa). Al termine della dodicesima giornata la classifica recita: Milan e Juventus 17 punti, Lanerossi Vicenza 16 punti. Clamoroso.Fabbri è guardato con invidia dai suoi colleghi: come può una provinciale, piena fra l'altro di scarti di altre società, essere così sfrontata, votata all'attacco in qualsiasi campo d'Italia?La piccola rivoluzione del Vicenza sta tutta nella convinzione che G.B. riesce ad infondere ai suoi, giocarsela tutta sempre e dovunque, costruire e non distruggere.Dispone inoltre del miglior esterno del campionato, un Roberto Filippi già trentenne, con alle spalle 3 gettoni con il Bologna nel 72/73 e poi tanta serie C, che per la prima volta, sotto la guida di Fabbri, si dimostra all'altezza della Serie A e regala alla squadra idee precise, rabbia agonistica, chilometri e sudore, continuità.
Ma il vero crack è lui, Paolo Rossi, già idolo di tutti, già fenomeno mediatico nonostante la sua estrema riservatezza e il suo volto pulito da bravo ragazzo.Nel girone di ritorno il Lanerossi non è più una sorpresa. Tutti si aspettano il crollo dei ragazzi di Fabbri, che invece danno dimostrazione di grande maturità, imparando a gestire meglio le partite e tirando il freno a mano quando ce n'è bisogno. Alla 28a un clamoroso 4-1 al Napoli (doppietta di Faloppa) mantiene il Vicenza a quattro punti dalla Juve che va facile sul Pescara (2-0) e mette praticamente la parola fine al campionato.
La domenica successiva, 3-1 al Perugia (ancora due gol di Rossi) e gran finale al Comunale di Torino dove la Juventus festeggia lo scudetto dando vita assieme agli uomini di G.B. ad un match spettacolare. Due volte in vantaggio con Bettega e Boninsegna, la Signora si fa raggiungere in entrambe le occasioni, prima della stoccata decisiva di Penna Bianca per il 3-2 finale.Sugli allori, proprio Bettega e Rossi, che saranno protagonisti assieme neanche un mese dopo in Argentina con la Nazionale di Bearzot.
Il campionato di Serie A '77-78 è finito e da queste parti, ma non solo, passerà alla storia. Cosa chiedere di più?Rossi, definitivamente esaltato dal gioco di Fabbri, va oltre i suoi limiti: 21 ne aveva segnate in Serie B, arriva a 24 nel campionato dei "grandi", conquistando il titolo di re dei marcatori e la maglia azzurra nella Nazionale di Bearzot. La squadra non arriva mai a minacciare la Juventus Campione d'Italia, ma chiude la stagione dei sogni al secondo posto (che oggi varrebbe Champions League), miglior piazzamento della sua storia. Grazie a Gibì (vincitore del Seminatore d'Oro), grazie ai gol di Rossi, grazie al collettivo. E anche grazie a un piccolo grande uomo che diventa l'anima del centrocampo biancorosso, quel Roberto Filippi che risulterà eletto come miglior giocatore del campionato. Giussy Farina è alle stelle e il suo entusiasmo sta scritto sulla busta con cui riscatta Paolo Rossi dalla Juve con un'offerta di due miliardi, seicento milioni e cinquecentodiecimila lire. Una pazzia d'amore, che costerà molto cara. Dirà Giussy Farina: «Mi vergogno, ma non potevo farne a meno: per vent’anni il Vicenza ha vissuto degli avanzi. E poi lo sport è come l’arte, e Paolo è la Gioconda del nostro calcio...»
Nonostante le partenze (per coprire li riscatto di Rossi) di due colonne come Lelj (Fiorentina) e soprattutto Filippi (Napoli), Gibì Fabbri mette in guardia un ambiente in euforia, ma nessuno l'ascolta. Così, dopo la stagione della gloria arriva quella del dolore. Dolore anche fisico, come quello di Paolo Rossi, ora diventato Pablito dopo l'avventura in Argentina. Contro il Dukla in Coppa Uefa il ceco Macela lo mette fuori uso per il match di ritorno (con conseguente eliminazione) e per le prime giornate del campionato 78/79. Il Lanerossi stenta, senza Pablito e senza le sgroppate di Filippi sembra perso, inerme.All'ottava giornata è ultimo in classifica assieme al Verona. Il rientro di Rossi e l'assestamento progressivo della squadra rimettono le cose a posto, a tratti si rivede lo spettacolare gioco della stagione precedente tanto che a sei giornate dal termine sono proprio sei i punti di vantaggio sulla terz'ultima. All'orizzonte una salvezza tranquilla ed onorevole, quindi.Imprevedibile, arriva invece il crollo, nervoso e fisico, degli uomini di G.B. Quattro sconfitte consecutive fanno ricadere il Vicenza nelle zone basse e la squadra si fa trovare impreparata e incapace di ritrovare le energie psicofisiche per evitare il baratro.A Bergamo (dove l'anno precedente era iniziata la svolta...) nell'ultima giornata uno spento Vicenza si fa travolgere dall'Atalanta, ed è di nuovo serie B.Un ciclo si è concluso, rimarrà invece per sempre la favola del Real Vicenza.


venerdì 7 marzo 2008

Quando si sognava il "Tredici"


Prima del gioco globale, teleplanetario, e delle cento lotterie informatizzate, dei tornei quotidiani e dei multipli jack pot feriali, la gloriosa schedina — tatuata Totocalcio e Lamette Bolzano — ha navigato in solitaria anni d’autentico miracolo, regnando su domeniche italiane di puro incanto e sigillando, lei sola, i novanta minuti dagli stadi, scanditi dalle voci vorticose dei radiocronisti — «grazie Ameri, a te Ciotti» — fino al rendiconto algebrico della colonna vincente. Fino al montepremi che da qualche parte, in un bar, in una cucina al neon, avrebbe avverato tutti i sogni sognabili grazie a una parola d’azzardo innocuo, casalingo e al tempo stesso favolosa: Tredici.Ma ora che la schedina ha passato i sessant'anni, ora che il suo montepremi si è smagrito di dieci volte dalle stagioni d’oro — 34 miliardi di lire il record di una domenica nel 1993, neppure 1 milioni di euro la scorsa settimana — la sua storia di carta ha davvero imboccato il viale del tramonto delle dive...
La schedina prevede dodici pronostici, una sola colonna, trenta lire per la giocata, l’equivalente di un Vermut. Il campionato di calcio viene dal mondo di prima. Porta la luccicanza del grande Torino di Valentino Mazzola che vincerà tutto, prima della catastrofe. Della Nazionale di Angelo Schiavio e di Silvio Piola. Ma il gioco dei pronostici è nuovo di zecca. È semplice come la vita. Attraente come una scommessa. Imponderabile come il destino. Si chiama Sisal. Si pronuncia 1, 2, x, schedina.

La schedina compare come un fiore di carta quasi gialla tra le macerie d’Italia, dopo gli inverni di polvere e di morte, nella seconda primavera del nuovo inizio, mentre si ascolta il primo boogie-woogie nei cortili, si ricostruiscono i tetti e i ponti, ci si divide la minestra. L’Italia è talmente povera che il suo presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, in partenza per la conferenza di Parigi, deve farsi prestare il soprabito dal ministro Piccioni. Senza quella povertà così completa non si capirebbe l’imminente trionfo del nuovo gioco a premi. La pace ha appena vinto in casa: Uno. La guerra ha perso: Due. La vita si è rimessa in pari col destino: Ics.Si ricomincia sul verde ancora scolorito dei campi. Il pallone è di cuoio marrone. Gli atleti hanno la faccia scavata, però allegra.
La prima schedina della Sisal, 5 maggio 1946. Se l’è appena inventata un tipo elegante e sveglio, Massimo Della Pergola, con due amici e 300mila lire di capitale. Massimo Della Pergola all’epoca ha una trentina d’anni e una storia da film alle spalle. È nato a Trieste. Fa il giornalista sportivo. È ebreo.

Quando fugge dai tedeschi e dalle leggi razziali, il suo ex giornale, Il popolo di Trieste, titola: «Della Pergola espulso. Si respira aria nuova». Lui scappa a Firenze travestito da mendicante. Poi da Milano in una notte di coprifuoco. Recupera la moglie e il figlio piccolissimo. Approda sul lago di Como. Un paio di spalloni lo accompagnano sino al confine. Entra in Svizzera a piedi la sera di Natale del 1943. Finisce in un campo di prigionia. L’accusa di espatrio clandestino è il suo salvacondotto. La pena da scontare la sua salvezza.Racconterà che lavorava nel campo di Pont de la Morge come manovale alla bonifica delle sponde del Rodano. Che portava cucito addosso il numero 21915 e che «per reagire alle sofferenze e a quello stato d’animo di sentirmi un numero» pensava alla sua passione, il calcio, e agli stadi bombardati e a quando sarebbe potuto rinascere lo sport in Italia. Pensava a dove e come si sarebbero rintracciati tanti soldi per innaffiare l’erba dei nuovi campi bruciati dalla guerra e le caviglie fragili dei ragazzi prossimi venturi. A come far rifiorire il tifo. Finché non ebbe l’idea: un concorso milionario e un sogno domenicale in cambio di uno spicciolo leggero quanto un aperitivo per dissetare lo sport.

Così quella prima domenica di maggio del ‘46 — mentre a Torino sfilano gli ex partigiani coi gonfaloni e a Roma c’è il comizio dei monarchici al Palatino — sotto al cielo appiccicoso dei bar compaiono 5 milioni di schedine. L’incasso non arriva a 2 milioni. E il montepremi quasi non si vede, 463.146 lirette, tutte giocate tra le macerie, i sacchi di farina, e l’ironia dei giornali. Dirà Della Pergola: «Nessuno ci credeva alla mia Sisal. Quando andavo al Coni dicendo che con quei soldi si sarebbero ricostruite le piste di atletica, le palestre, gli stadi, mi sfottevano: è arrivato quello dei regali milionari, ecco a voi babbo Natale. Ma io ero deciso, ero un idealista».Un idealista che però conosce gli italiani. Sa che la febbre del gioco ha una sua forza autonoma. Che la speranza settimanale è contagiosa. Perciò il montepremi cresce. Le schedine entrano nel paesaggio quotidiano del tempo libero maschile, come le giocate del Lotto, come le tappe del nuovo giro d’Italia con Bartali in testa, come il ramino o le Alfa senza filtro. E anche quando scompaiono dai bar, riaffiorano sui banconi dei barbieri: alimentano le discussioni sulle prossime partite, moltiplicano le contese, ripuliscono i rasoi.In due stagioni la Sisal triplica gli incassi, conquista gli italiani, e tutta intera l’attenzione dello Stato. Il presidente Luigi Einaudi la nazionalizza con un decreto, anno 1948. Il ministero la ribattezza Totocalcio, le assegna 13 squadre. Della Pergola protesta, chiede un indennizzo, fa causa, ma è una partita di carte bollate all’italiana, si trascina senza reti per sei anni, poi amen, neanche le scuse.Ma non è che Della Pergola ci perda l’anima e il buon umore. La sua creatura funziona a meraviglia e cresce come l’economia, il reddito, le strade. Il Coni d’ora in avanti incassa un terzo delle giocate. Un terzo va all’erario. L’ultima fetta ai vincitori.
I titoli dei giornali lanciano i nuovi milionari della domenica. Il Cinegiornale intervista il minatore sardo Giovanni Mannu, 77 milioni di vincita, che alza le braccia come un atleta quando s’accendono i flash e lo speaker grida: «Eccolo a Roma mentre ritira il primo milione di anticipo». O il bigliettaio della Salemi-Messina Giovanni Cappello che fa frusciare i pacchi di diecimila lire formato lenzuolo. O la signora Giovanna Taoro che «contro il parere del figlio e del buon senso» ha dato l’Inter sconfitta a Catania e adesso incassa 60 milioni.Nei primissimi anni c’è ancora qualcuno che scrive sul retro della schedina cognome, nome e indirizzo, come all’anagrafe, poi si smagano tutti, per via dell’odiato ministro Vanoni, predatore di tasse nascoste. In televisione nasce il nuovo tormentone del lunedì la caccia al tredicista fuggitivo: «Si insegue uno zoppo con un soprabito verde. Forse è un ex carcerato. Forse il giornalaio. L’indiziato nega».I rotocalchi inquadrano facce di contadini con occhi sbarrati su titoli a scatola: «Cento milioni di felicità», con l’elenco dei sogni da realizzare, il matrimonio, l’automobile, la cucina americana, il bar da comprare, il milioncino «alla nonna e ai parenti tutti». Ma poi a seguire anche esiti meno edificanti e più realistici, tipo: «Quei 150 milioni che mi hanno rovinato la vita», magari con un sovrappiù di moralismo che disseta le invidie, ma che in fin dei conti non dissuade nessuno.

Con il Miracolo economico la schedina diventa uno degli emblemi del sogno consumista, una serratura a portata di mano. Entra nella commedia all’italiana come le bionde, la spider, la spiaggia. Scrive lo storico Giuseppe Imbucci: «Il Totocalcio e la sua schedina trasportata dal vento, così come appariva in una famosa pubblicità, sono stati una delle scorciatoie di questa nuova etica dei consumi. Un’ideale ricchezza straripante e milionaria». Tanto reale da avverarsi ogni settimana e lentamente moltiplicarsi fino agli anni stellari, gli Ottanta e specialmente i Novanta, quando distribuisce fino a mille miliardi di premi all’anno.II declino comincia da quelle vette, per ridondanza di troppi trionfi. Per moltiplicazione dei concorsi, Intertoto, Totogol, per i montepremi astronomici del Superenalotto, per la legalizzazione delle scommesse, per gli ascolti televisivi che si nutrono di nuovi campionati, nuovi trofei con incognite da calcolare. L’immensità della tavola da gioco internettiana ha finito col rendere residuale quella promessa di fortuna impaginata in un solo rettangolo di carta.Massimo Della Pergola, che se n’è andato un paio di anni fa, sempre con quel suo mezzo sorriso in faccia diceva: «No, non ho mai giocato in vita mia». Contento però di avere vinto l’unico montepremi che contasse, quando si sentiva un numero da nulla e così infelice da inventarsi un destino con tre variabili, perpetuo. O quasi.

mercoledì 5 marzo 2008

La caduta degli Dei

di Andrea Garnero

Prima o poi doveva succedere ed è accaduto. Il Milan, pluricampione d’Europa e del Mondo 2007, è stato eliminato agli ottavi di finale con il classico risultato all’inglese: 2 a 0 e “tutti a casa”. Rabbia? Tristezza? Amarezza? Delusione? No, niente di tutto questo, perché più di così non potevano fare.
Colpe della società? Colpa dei giocatori? Colpa dell’arbitro? No, niente di tutto questo, perché credo abbia ragione Mario Sconcerti quando scrive: «Ieri sera è calato definitivamente il sipario su una grande stagione, ma il Milan era arrivato al suo limite già molto tempo fa. È stato spremuto fino all’ultima goccia del suo talento». Ebbene sì, il Milan è stato “giustamente” spremuto. Non resta quindi che giocare a testa alta, onorare l’autorevole avversario e guardare avanti.
Un Milan vincente ogni anno? No, ne serve uno convincente ogni anno e vincente ogni tre o quattro. Il Milan, questo Milan di Ancelotti ha vinto tutto e non può vincere di più. La stagione 2006-2007 resta indimenticabile per un tifoso rossonero. Ora non voglio parlare di stagioni passate, partite eroiche perché quelle le conosciamo e fanno la storia del calcio. Ripeto, a testa alta guardare avanti nella vita; il Milan è il Milan anche quando non vince nulla.
Stagione fallimentare? No, niente di tutto questo, perchè il fallimento dove starebbe? Uscire dalla Coppa Italia che in via Turati non “fa bacheca”? Arrivare (si spera) quarti in campionato per giocare i preliminari? Ci sono, facciamoli. Non vincere lo scudetto? Lo vincano i più forti, non sempre si può essere i più forti. Non perché ti chiami Milan devi sempre vincere, ci possono essere e ci sono anche stagioni storte.
Al Milan piace Montecarlo, al Milan piace il “Sol Levante”. Il Milan ci tornerà perché quella è la sua storia e sarà la sua leggenda. Il merito non è che del Nostro Presidente perché è così e chi non lo vuole ammettere, non è degno di tifare per questa squadra. È lui l’artefice di tutto questo. Ed è proprio per lui e per i ragazzi che a fine partita, seduto al mio posto mentre lo stadio si svuotava, mi sono accesso una sigaretta e li ho ringraziati né con un applauso, né con una risata, ma semplicemente restando lì a vederli uscire. Sapendo che i miei compari (Fabio e Felice) avrebbero impiegato una buona ventina di minuti a uscire mi sono letteralmente goduto quel momento. I tifosi ospiti in festa, i gunners in festa e i nostri che non vedevano l’ora di uscire dal campo. È stato tutto bellissimo, emozionante e stancante psicologicamente. Perché anche questo è il Milan, restare lì seduti e vederli uscire anche dopo un’eliminazione. Questo è l’insegnamento che hanno dato a noi amanti del buon calcio tutti i trofei vinti.
Il Capitano Paolo Maldini voleva arrivare a Mosca per concludere lì la carriera. Caro capitano, la tua carriera non si concluderà mai. La carriera di un giocatore si conclude solo quando quel giocatore “fugge” dalle memorie altrui. Ma tu, dove vuoi andare? Tu resti qui, nei nostri ricordi e nei nostri cuori. Quello che hai vinto lo sanno tutti. Volevi un’altra coppa dei Campioni? Lasciala vincere al prossimo capitano del Milan che sarà degno di indossare la fascia.
Grazie Milan

martedì 26 febbraio 2008

Viva Re Filippo

Se tutti abbiamo un destino, o disegno divino, se preferite in questi tempi di grande devozione elettorale, quello di Filippo Inzaghi da Piacenza deve essere stato scritto dalla fata (o dall'angelo) che inventò la «tattica del fuorigioco», quella ingegnosa trovata che affida il risultato di una partita al buoncuore e alle cornee di un semidilettante detto «guardalinee» o «assistente», nel nuovo calcistichese corretto. Se la formidabile invenzione del «facciamo tutti assieme un passettino in avanti e poi preghiamo che quello là con lo straccio in mano se ne accorga» non fosse mai avvenuta, sospetto che Inzaghi sarebbe desaparecido nella provincia del calcio dalla quale proviene. Ma la fata, o l'angelo, decise, quando lui nacque, di creare la difesa a zona in linea e il futuro Pippo scoprì quello che il signor Barnum, i produttori del Grande Fratello, gli analisti di Borsa e i fabbricanti di videopoker sanno: che investire sulla stupidità umana rende più del petrolio, perché la dabbenaggine è infinita.Inzaghi non mi è simpatico e non è simpatico a molti. Non ha quell'aria da suorina furba che rende Del Piero adorato da tanti né la faccia strafottente di Cassano (grande!) o lo sguardo da lazzarone furbo di Totti. Le sue espressioni normali sono quelle della maschere della tragedia greca sempre esagerate, disperazione, orrore, sbigottimento, incredulità, estasi e la sua abilità di tuffatore in area non lo avrebbe reso caro a De Coubertin.Ma a quasi 35 anni, e con 63 gol in gare ufficiali Uefa - record assoluto - questo assatanassato, questo tarantolato dell'area di rigore è l'esempio di come un calciatore non particolarmente dotato possa, anno dopo anno, infortunio dopo infortunio, club dopo club, ancora essere decisivo, come domenica contro il Palermo, semplicemente sfruttando la logica delle probabilità. Sapendo cioè che non devi fare fessi tutti i guardalinee tutte le volte, come avrebbe detto Abraham Lincoln, celebre «mister» americano, ma soltanto uno, uno alla volta, per diventare il più grande «goleador» nella storia della Uefa.

Vittorio Zucconi, il Giorno, martedì 26 febbraio 2008

giovedì 21 febbraio 2008

Ipse dixit

«Oggi all'Olimpico di Roma é come se i libri di storia si riaprissero: la squadra é giovane e con poca esperienza in questa Europa, contro i Galli, i nemici di sempre. Spalletti, che un pò druido è, ha capito che in questo stadio, con questo pubblico, oggi per gli amici di Asterix non ci deve essere pozione che tenga, oggi Hic Sunt Leones»
Fabio Caressa:
prologo all'incontro di Champions League 2006/07 (andata degli ottavi di finale) tra Roma e Lione del 21 febbraio 2007.

martedì 19 febbraio 2008

L'isola che non c'è

Genova è l'isola che non c'è. Peter Pan incanta, ride, scherza e si prende gioco dei terribili pirati con il vessillo sdrulcito del grifone, guidati dal crudele Giacomo Uncino e dal maldestro Spugna; Michele, Gianni, Wendy (a Genova la chiamano Reto Ziegler) e Carambola si divertono al Marassi.
Peter Pan è facilmente identificabile, con i capelli da ragazzino e il 99 sulle spalle (nove come tre volte tre, novantanove come i canti della Commedia).
Patto con il Diavolo (a cui, birbante di un Peter, ha venduto Trilly Campanellino, che gioca in un'altra Neverland con la maglia 21 e fa incantesimi sempre più belli) in cambio di eterna e irresponsabile giovinezza.
Peter Pan, un pò Robinson Crusoe, un pò Arturo Gerace; un pò Oliver Twist, un pò Billy Elliot; un pò Pinocchio e un pò Gianburrasca. Di domenica un pò Gianni Rivera e un pò Zinedine Zidane...
E allora, caro Peter, bentornato a Futbolandia, l'isola del calcio che non c'è.

lunedì 18 febbraio 2008

Atto di forza

LONGOBARDA - TEO F.C. 0-5
Non c'è niente di meglio che conquistare la prima posizione in classifica con un perentorio e inopinabile atto di forza. Così la Teo F.C. infierisce sull'inerme Longobarda con reti di Del Piero (2), Rocchi (2) e dell'ultimo arrivato Mannini.
Perde invece, costretta in dieci dall'espulsione di Panucci, la Lizkaino contro i Nerazzurri (1-0, decide Cassano).
Bel pareggio tra Pascariello e la vivace Real Felix: 2-2, con Kuzmanovic e Giovinco in risposta a Di Natale in stato di grazia.
Flynet e Ceranova fanno 1-1 (Suazo, Vargas), mentre l'Estudiantes torna a vincere (Pazzini, Modesto) superando fuori casa la Bosa Ichnusa (Maggio) in caduta libera.

Croce e delizia

Viva Cassano quando ride perchè è uno spot del calcio. Quando gioca come fa da mesi, senza regola, ma con costanza, correndo sopra le righe, ma sempre con un lieto fine.
Chissà se questo ragazzo dal talento straordinario è davvero tornato, e chissà se, come dice Capello, può essere leader solo in una squadra in cui non ha concorrenti. Di sicuro è tornato a fare la differenza. Che abbia ragione Gasperini o Mazzarri nella battaglia di chi meritava di più, è evidente che ha deciso Cassano. Su di lui i falli commessi da Danilo prima dell'espulsione. Suoi i dribbling e gli assist che alla fine hanno aperto il Genoa. È sua la qualità che sta facendo della Samp una squadra diversa, adesso davvero in corsa per qualcosa d'importante, perfino per un posto in Champions.
Viva il Cassano che ride di sè e del suo calcio, che sa di essere diverso e non si limita, lo dice e basta, talmente fuori convenzioni da organizzare un suo modo di essere normale, sempre ridendo e sempre dicendo che comunque chi sta con lui vive su un vulcano addormentato. Può sempre assistere a un'esplosione. Non cerca nemmeno di coprire le intransigenze, quelle che allargano le sue proteste, le sue offese agli arbitri, quelle che costerebbero forse più di un'ammonizione. È andato talmente oltre nella comprensione di sè da essersi accettato, ha trasformato anzi i suoi problemi in vantaggi e ha chiuso la seduta. Adora la sua sincerità e la cosa più sincera che conosce è che il numero uno è lui. In effetti c'è un piccolo coro che s'allarga, il numero uno è lui. Perchè non dovrebbe dirlo?
Viva allora il Cassano che sorride e divide, quello che detesti solo quando non sta con te, quello che taglia una partita come fosse panna e se la mangia in un boccone. Difficile non fare i conti con questo Cassano. È decisivo e rumoroso, raffinato e elementare. È come avesse il bisogno di essere coniugato con il calcio degli altri, un'armonia imperfetta, ma che alla fine paga. Ma sembra tornato il momento in cui la domanda deve soprattutto rovesciarsi: viva il Cassano che costringe gli altri a coniugarsi su di lui. A capire che la diversità esiste solo perchè lui la inventa.

Ilaria D'Amico, la Gazzetta dello Sport, lunedì 18 febbraio 2008

giovedì 14 febbraio 2008

Arrivederci Ronie

Forse perchè in questo istante la preoccupazione di non poterti più rivedere giocare incantando è così forte e sentita...
Forse perchè la mia generazione non dimenticherà mai le tue meraviglie calcistiche...
Forse perchè i tuoi sorrisi hanno conquistato tutti e le tue lacrime tutti hanno commosso...
Per questi e per altri innumerabili motivi a Futbolandia -dove sei stato amato sempre e incondizionatamente- nessuno si dimenticherà mai di te.
E se un giorno potrai tornare ci vedrai ancora una volta emozionati, in piedi ad applaudirti ancora una volta...
Arrivederci Ronie

lunedì 11 febbraio 2008

Principio d'equilibrio

Lizkaino - Pascariello 2-0 (Panucci, Vannucchi)
Nerazzurri - Flynet 2-0 (Cambiasso, Tavano)
Real Felix - Estudiantes 2-1 (Camoranesi, Kuzmanovic, Pazzini)
Teo F.C. - Bosa Ichnusa 1-0 (Nedved)
Ceranova - Longobarda 0-1 (Amauri)

Teo F.C. e Lizkaino raggiungono in prima posizione la Ceranova battuta di misura. Ora le tre regine del campionato sembrano destinate ad avvicendarsi in testa secondo l'ermeneutica di un nuovo auspicabile principio d'equilibrio. L'Estudiantes perde invece nello scontro diretto l'opportunità di riavvicinarsi in classifica alla Real Felix. Preoccupante calo della Bosa Ichnusa ancora sconfitta.

domenica 10 febbraio 2008

L'irresistibile Brunetto

Il 10 febbraio 1974 Nils Liedholm, allora allenatore della Roma, fa esordire in serie A Bruno Conti.
Il diciottenne di Nettuno gioca da ala sinistra nella sfida dell'Olimpico contro il Torino di Giagnoni (0-0 il risultato finale). In serie A -quasi sempre da ala destra- Bruno Conti ha giocato 304 gare (tutte in giallorosso) segnando 37 reti.
In Nazionale, dove esordisce nel 1980 con Bearzot, vanta 47 presenze e 5 gol (11 presenze e un gol -nel 1982 in Italia-Perù 1-1- nei Mondiali '82 e '86). Bruno Conti è stato campione del mondo nel 1982 mentre con la Roma ha vinto uno scudetto nell'83 e quattro coppe Italia (1980, '81, '84 e '86). Finalista di Coppa dei Campioni nel 1984 con la Roma sconfitta ai rigori (3-5) allo Stadio Olimpico dal Liverpool di Fagan.

lunedì 4 febbraio 2008

Le scale da salire sono scivoli

Pascariello - Estudiantes 0-3 (Borriello, Ibrahimovic, Mauri)
Flynet - Lizkaino 0-0
Longobarda - Nerazzurri 0-0
Real Felix - Teo F.C. 2-1 (Rosina, Pato, Nedved)
Bosa Ichnusa - Ceranova 2-1 (Maggio, Miccoli, Lavezzi)

Prosegue la problematica risalita in classifica dell'Estudiantes dopo aver abbandonato l'ultima posizione. Ceranova ancora sconfitta e campionato ormai riaperto, con Real Felix -in virtù delle ultime vittorie- vicina alle prime posizioni.

domenica 3 febbraio 2008

De vulgari imperitia

Tu quoque amice mi! Devo scusarmi per aver dubitato dell'indiscussa autorità dell'Inter capolista che anche oggi avrebbe incantato il mondo calcistico con i favori conquistati della Diva Eupalla se quel debosciato di un direttore arbitrale non avesse fischiato sempre a sfavore, come a Siena, come contro il Parma, come a Udine (e pensare che si inventano persino infortuni di lunga degenza per Mesto pur di colpevolizzarvi, che complotto, che bassezze!)...
Ma Signor arbitro, l'onnisciente Mancini ha fatto bene a puntarvi il dito contro: non era rigore su Saudati! E se Materazzi dopo l'incontro ha candidamente postulato di aver commesso fallo, è stato soltanto per la proverbiale acutezza intellettuale di cui da sempre è primo depositario! E com'è incantevole vederlo litigare coraggiosamente e difendersi a spada tratta contro tutti quei bravacci empolesi! Quanto orgoglio, amice mi, devi provare nel vedere l'italianità rappresentata con una così rarefatta sublimazione, quanta invidia che provo per te, amice mi!
Signor arbitro, che abbaglio ha avuto quando ha espulso Vieira, l'antropoformizzazione della correttezza sportiva! Dovrebbe prendersela piuttosto con quegli attempati giocatori in casacca rossonera: a memoria d'uomo non si ricorda di un solo benchè minimo insulto a Lei rivolto da parte loro... detestabili falsi moralismi, deprecabili buone maniere, tutta colpa di quel Baldassar Castiglione, se non si fosse intromesso tutti noi potremmo ancora permetterci di vivere con la clava sulle spalle come ancora fanno -nella loro encomiabile trasparenza bucolica- quegli splendidi esemplari di ominidi, al secolo Ivan Ramiro Cordoba, Nelson Rivas e Sinisa Mihajlovic.
E che sacro afrore quel gaucho con i gradi di capitano che la invita con tale emendata affettazione a prendere provvedimenti disciplinari nei confronti di quel gradasso di Abate, entrato con intraducibile violenza sulle membra di Maxwell. Bastone e carota Signor arbitro, nei confronti di questi giovani indisciplinati!
E poi, Signor arbitro, anche Buscè andava espulso! Oltre a glissare con impertinenza sul suo siderale fuorigioco, non si è nemmeno adoperato per riconsegnarvi la palla inchinandosi al vostro cospetto per l'imbarazzo dell'impunità appena concessa!
Soltanto sull'episodio del rigore, Signor arbitro, devo proprio complimentarmi: di testa la palla non la si può colpire in aria di rigore! È una regola vecchia come il mondo! Cari Couto e Vannucchi, quanto siete stati sprovveduti!
Insomma, non si può ottenebrare con tutti questi imperdonabili errori la meraviglia calcistica di questa irresistibile Inter! Basta combutte!
Con quanta accuratezza -Signori delle caste nerazzurre- vi siete chiusi nel vostro imperturbabile raccoglimento, nel vostro silenzio intellettuale. Chissà quanta amarezza starete provando nei confronti di questo immedicabile disfacimento del calcio italiano; soltanto voi siete rimasti come fortilizio impenetrabile contro questa dilagata corruzione dei costumi, i campioni dell'onestà!
Per qualche refuso reiterato sugli almanacchi c'è sempre scritto che sono quegli svergognati dei vostri concittadini scacciavitari a vincere in Europa e nel mondo. Che presunzione! Che sfrontatezza! Chissà se mai impareranno qualcosa da Voi, quello stolto di Leonardo, quello sconsiderato di Braida, quell'antennista vanesio d'un Galliani! Imparate l'arte e mettetela da parte, sciacquatevi la bocca prima di permettervi di pronunciare anche soltanto il nome del Dottor Moratti, dalle guise così epicuree! I veri signori non sono interessati a «quei tornei in Giappone» così insignificanti perchè frutto esclusivo di immeritatissime fortune sportive e convergenze astrali... Signor Berlusconi, non si fanno gestacci in tribuna durante i derby, non si denigrano così trivialmente le madri dei vostri ormai paffuti ex giocatori... ma come! Dopo gli innumerabili e splendidi successi personali ancora non avete imparato a vincere una stracittadina? E voi, saccenti milanisti, non lo sapete che se vi viene concesso il privilegio di giocare al Mestalla dovete -non appena vi sarà consentito- rendere gli onori a chi vi ospita così cordialmente inscenando una bella corrida? «Matalo, Burdisso, matalo!»
Sono proprio invidiosi dei vostri incorrotti titoli nazionali (e si dimenticano sempre di quelli internazionali, chissà poi perchè!) quegli arroganti tifosi milanisti privi di ogni cognizione, quei presuntuosi "dalle grandi orecchie", altro non fanno che bearsi dei loro inservibili fasti ateniesi e non vedono l'ora di concedervi one more time le briciole dei loro trimalcionici conviti o di sollecitarvi a difendere i vostri scudetti dalla insidie dei più deboli sistemandoli nei vostri più sicuri pertugi. Ignorantia juris neminem excusat! Perdonateli quei miseri milanisti perchè non sanno quel che fanno... e quel che vincono.

giovedì 31 gennaio 2008

O cerco de Lisboa

Raimundo Silva è abituato, non se la prende molto per le impertinenze di Costa, maleducazioni senza cattiveria, povero Costa, che non smette mai di parlare della produzione, È la produzione che ci rimette sempre, dice lui, sissignore, gli autori, i traduttori, i revisori, i grafici, ma se non fosse per questa nostra produzione, vorrei proprio vedere a che cosa gli servirebbe la sapienza, una casa editrice è come una squadra di calcio, tanti virtuosismi là davanti, tanti passaggi, tanti dribbling, tanto gioco di testa, ma se il portiere è uno di quelli paralitici o reumatici se ne va tutto a carte quarantotto, addio campionato, e Costa sintetizza, questa volta algebrico, La produzione sta alla casa editrice come il portiere sta alla squadra. Costa ha ragione.

José Saramago, Storia dell'assedio di Lisbona, Einaudi, Torino 1989, pp. 31-32

lunedì 28 gennaio 2008

Real sugli scudi

REAL FELIX - U.S. CERANOVA 4-0
La diciottesima giornata di campionato restituisce agli antichi fasti la Real Felix che assegna alla capolista Ceranova la seconda e consecutiva durissima sconfitta. A segno per due volte ciascuno Pato e Trezeguet.
I Nerazzurri (Foggia, Cassano, Barreto) espugnano Bosa battendo l'Ichnusa (Hamsik) 3 reti a 1, mentre alla Longobarda non basta un gioiello di Mancini per evitare la coraggiosa rimonta della Lizkaino (1-2, Vigiani, Mutu).
L'Estudiantes, grazie a Pizarro e Pazzini in extremis, ferma sul 2-2 l'ottima Teo F.C. trascinata da un superlativo Del Piero, a segno per due volte.
0-0 infine tra le gemellate Flynet e Pascariello.

sabato 26 gennaio 2008

On my own two feet

Il coach della piccola università Indiana-Purdue University at Indianapolis di basket inventa una nuova forma di beneficenza: per sostenere la Samaritan’s feet -che si occupa di donare calzature ai meno fortunati- ha convinto i tifosi a presentarsi al palazzetto scalzi.
Il 2008 per gli afroamericani è un anno speciale: il 4 aprile, infatti, sarà il quarantesimo anniversario dell’assassinio di Martin Luther King. Le celebrazioni in suo onore saranno molte e alcune sono già partite in questo periodo.
Su un ideale podio delle iniziative più curiose merita quantomeno la segnalazione l’idea avuta da Ron Hunter, 43enne allenatore della squadra di basket dell’università di Iupui (Indiana-Purdue University at Indianapolis).
Hunter, l’8 gennaio scorso, è rimasto colpito dall’incontro con Emmanuel Ohonme, fondatore dell’associazione Samaritan’s Feet ("i piedi dei samaritani"). Ohonme, nigeriano, nato in una famiglia poverissima, ha ricevuto il primo paio di scarpe a 9 anni e ha potuto cominciare a giocare a basket, la sua passione. Una passione che l’ha portato anche negli Stati Uniti, con la maglia dell’università di North Dakota. Ma Ohonme non voleva giocare né nell’Nba né in qualsiasi campionato. Dopo la laurea, si è dedicato per un decennio al volontariato, fondando poi a Charlotte la Samaritan’s feet, che si occupa di donare ai bambini africani delle scarpe per giocare a basket. Ron Hunter ha così deciso di dare il suo contributo, lanciando una campagna: raccogliere 40mila paia di scarpe entro il 4 aprile.
Giovedì sera all’Iupui Gymnasium a Indianapolis -in occasione dell'ultimo incontro di campionato universitario tra i Jaguars (la squadra allenata da Hunter) e Oakland- circa mille spettatori si sono presentati scalzi sulle tribune. Così lo stesso allenatore di Iupui, in abito formale e scalzo a bordocampo.
Prima dell’ultima sirena per i bambini africani erano già state raccolte più di 110mila paia di scarpe: merito anche di multinazionali come Converse e Walmart, che ne hanno donate circa 40mila.
Il coach ha dichiarato poi commosso: «I piedi mi fanno male, ma immaginate un bambino che per tutta la vita è costretto a camminare scalzo. Io lavoro in un piccolo college, ma pensate all’esempio che darebbero gli allenatori delle grandi squadre di basket, se si presentassero senza scarpe sul parquet. In compenso abbiamo ricevuto moltissime e.mail di tecnici delle high-school, che si stanno comportando come noi».
Martin Luther King aveva un sogno...

Ispirato all'articolo di Alessandro Ruta per www.gazzetta.it

giovedì 24 gennaio 2008

Arancia meccanica

24 gennaio 1973
Ad Amsterdam l'Ajax si aggiudica la prima edizione della Supercoppa Europea superando il Glasgow Rangers per 3-2 (dopo essersi imposta 1-3 anche nell'andata all'Hampden Park). Nell'Ajax militarono in quell'anno Krol, Haan, Neeskens e Cruijff.
Sei giocatori furono invece protagonisti di tutte le sei grandi vittorie internazionali dell'Ajax, ovvero 3 Coppe dei Campioni consecutive tra il '71 e il '73 (contro Panathinaikos, Inter e Juventus), una coppa Intercontinentale nel 1972 contro l'Independiente e 2 Supercoppe Europee (la seconda nel 1974 contro il Milan): si tratta del portiere Heinz Stuy, dei difensori Wim Suurbier, Barry Hulshoff e Horst Blankenburg e dei centrocampisti Gerrie Muhren e Arie Haan.
I Glasgow Rangers non disputarono gli incontri della prima edizione di Supercoppa contro l'Ajax in qualità di detentori della Coppa UEFA (vinta nella stagione 1971/72 dal Tottenham) bensì per la commemorazione dei loro primi cento anni di storia calcistica.

mercoledì 23 gennaio 2008

Deus ex machina

U.S. CERANOVA-ESTUDIANTES 1-5
Con una maiuscola prestazione l'Estudiantes costringe la capolista Ceranova alla sconfitta più pesante della stagione.
Incontro equilibrato in apertura, con la pronta risposta di Pandev alla rete iniziale di Borriello. Studenti in vantaggio con Ledesma, prima di dilagare con due reti di Zlatan Ibrahimovic -hombre del partido- e sigillo finale di Cigarini.
La Lizkaino supera per due reti a uno e raggiunge in seconda posizione di classifica la SS Bosa Ichnusa (gol di Vieri, Mutu e Hamsyk). Rallenta la Teo F.C, che passa con De Rossi ma viene raggiunta nel finale da una rete in mischia di Loria per la Pascariello. I Nerazzurri superano agevolmente un'irriconoscibile e abulica Real Felix (3-0 con reti di Cozza, Cambiasso e Tavano), mentre Flynet e Longobarda (0-0) scelgono la non belligeranza in attesa di tempi migliori.

sabato 19 gennaio 2008

Il Re è morto

Mai come in questo momento il termine «scacco matto è stato così pregno di significato, così attinente alla sua stessa antica etimologia: il re è morto,. Non un sovrano qualsiasi, ma quello che milioni di scacchisti in tutto il mondo hanno da sempre considerato il re degli scacchi. Morto in un ospedale di Reykjavik, la capitale dell'Islanda, proprio in quella città in cui trentacinque anni fa vinse il primo campionato mondiale di scacchi, battendo Boris Spassky e, con lui, l'annosa supremazia sovietica.
Robert James Fisher, noto a tutti come Bobby, il ragazzo di Brooklyn che aveva iniziato ad esibirsi al Manhattan Chess Club nei primi anni Cinquanta, emerse nel giro di pochi anni tra tutte le promesse scacchistiche che affollavano lo storico circolo di New York. Campione degli Stati Uniti a quattordici anni, grande maestro a quindici; poco più che un bambino, già si diveriva a «demolire l'ego» dei suoi avverasri, allora il fior fiore dello scacchismo statunitense. Già allora la personalità di Bobby Fisher rispecchiava i tratti del suo gioco: eccentrico, geniale, intransigente, ribelle. Nella sua totale dedizione agli scacchi non c'era posto per altro, le sue uniche letture: manuali e riviste di scacchi; l'umanità stessa era rappresentata solo da giocatori di scacchi e, tra questi, c'erano quelli buoni e quelli mediocri.
Aveva un solo interesse nella vita e un unico scopo da perseguire e conquistare il titolo mondiale. E la sua ascesa al titolo fu quanto di più spettacolare ci si potesse aspettare. Nei suoi incontri di qualificazione per il titolo annientò il russo Mark Tajmanov e il danese Bent Larsen per 6 a 0 e dopo aver vinto con il russo Tigran Petrosjan, soprannominato l'orso per «l'abbraccio mortale» con cui stritolava la difesa dei suoi avvesari, non restava che l'ultimo incontro con il campione sovietico Boris Spassky.
Sulle vicende di quello storico match giocato a Rykjavik nel 1972, nel periodo più critico della guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica si sono scritte decine di migliaia di pagine che varrebbe la pena di rileggere. Il ragazzo di Brooklyn, da solo, con la sua caparbietà e la sua voglia di vincere diventò il paladino di un'America in cui era ancora possibile credere. Dopo la vittoria suprema (Fischer concedette la rivincita a Spassky nel settembre '92, disputata nell'ex Jugoslavia sotto embargo Onu) seguì una forma di declino inarrestabile. Esiliato a Budapest per decenni a causa delle sue idee («Perchè ho scelto di vivere a Budapest? Ci sono le donne più belle del mondo. Si vedono più donne belle qui in cinque minuti che a Los Angeles in una settimana»), finì per trovare rifugio proprio in quella città in cui si era avverato il suo sogno. C'è nella vita contraddittoria e ribelle di Bobby Fischer una sorta di purezza, un ideale di verità e bellezza che trascende la grandezza del suo gioco.

di Paolo Maurensig, La Gazzetta dello Sport, 19 gennaio 2008

mercoledì 16 gennaio 2008

Il potere e la gloria

ESTUDIANTES-NERAZZURRI 5-4
L'impresa della sedicesima giornata di lega, la prima del nuovo anno, è dell'Estudiantes che supera tra le mura amiche (nonostante la scelta molto discutibile di non schierare Ronaldo) i Nerazzurri in una partita che, ai fini del torneo, varrà verosimilmente non più di una riga di statistica ma che, grazie all'altissimo livello dello spettacolo registrato in campo, sarà ricordata come uno degli incontri più belli di sempre.
A segno per gli studenti Stefano Mauri, Zlatan Ibrahimovic (2) e Marco Borriello (2). Per i Nerazzurri due volte Francesco Tavano, Esteban Cambiasso e Antonio Cassano. Buone anche le prove di Andrea Pirlo da una parte e Alexander Doni dall'altra.
Nonostante la splendida vittoria, in casa Estudiantes il mood è ancora bassissimo a causa dell'ultima posizione in classifica di una squadra che, solo pochi mesi fa ha chiuso la scorsa stagione con lo storico treble campionato/coppa/supercoppa di Lega. Fuori luogo ogni ambizione di rimonta, così come ancora ai limiti del pensabile la corsa sulla Real Felix -storica e sfrontata rivale- sconfitta (0-3) in questo turno dalla concretissima A.C. Lizkaino (a segno Totti e due volte Mutu). Prosegue intanto il difficile riavvicinamento della S.S. Bosa Ichnusa (cui basta l'acuto di Kakà per piegare le resistenze della Flynet) alla solida capolista Ceranova, nonostante la seconda sconfitta stagionale della squadra già campione d'inverno nel derby con la giovane Teo F.C. (2-1 con reti di Spinesi, Del Piero e Bellucci). Chiude il quadro di giornata la vittoria dell'A.S. Pascariello sulla Longobarda per 2 reti a 1 (a segno Di Natale, Quagliarella e Amantino Mancini).

martedì 15 gennaio 2008

È nata una stella

di Andrea Garnero

Un palloncino pieno di coriandoli. Esploso il palloncino, è cominciata la festa del Milan. Pato ha eccitato il campionato soporifero dell'Inter padrona. Ha aperto il 2008 con un gol segnato al Napoli e uno mangiato, ha persino tolto luce al redivivo Ronaldo, che pure è tornato dal nulla con una doppietta.
Di più, ha innescato il gioco degli acronimi per declinare, sulla scia del glorioso Gre-No-Li, il tridente brasiliano. Lui che è un (sopran)nome, un suffisso: "pato". Aggiungeteci quel che vi pare. Ha diciotto anni, la "macchinetta per i denti", esulta come un adolescente mimando un cuore alla fidanzatina in tribuna, come l'avrebbe disegnato un liceale qualunque sul diario. Personaggio da poster in camera. Pato significa 'papero' e ha le scarpe arancioni come le zampe di Paperino "perchè l'azienda (quella dello swoosh) ha deciso così".
Candidamente fenomeno. Anzi no, "il vero fenomeno è solo Ronaldo", puntualizza lui. Suo idolo, sua chioccia. Sull'intreccio di questi due brasiliani si costruisce il 2008 del Milan. Biunivoci. Ancelotti ha fatto forse chiarezza: "È Pato che ha trovato la sua sponda ideale in Ronaldo, non il contrario". Cioè Ronaldo co-protagonista, al limite. Fa nienteche praticamente da fermo Ronie abbia fatto una doppietta e diversi assist. La classe resta, il futuro va da un'altra parte. Giovani, giovani, giovani, volti freschi... anche Rivera, il golden boy nato ad Alessandria il 18 agosto del '43 (non è un caso che mia mamma, d'Alessandria pure lei, "simpatizzi" per il Milan) giocava in A a 16 anni.
Il Milan ha trovato in una serata di generosa difesa napoletana una rivincita di puro show, riassunto nei fenomeni, vecchi e nuovi, più il Pallone d'oro Kakà, che nella sua superiorità ormai fa poco notizia. Valgono cento volte di più le tre parole italo-brasiliane che il ragazzino più atteso del 2008 distribuisce alle tv in un crescendo di "sono molto felice" e "sono molto contento". "È un sogno giocare con questi campioni -dice- Prima della partita ero molto sereno perchè parlando con loro e col tecnico mi hanno detto tutti di stare tranquillo e di fare quello che so fare, che è giocare al calcio. Quello che mi piace di più è la velocità. Mi piace sempre quando gioco la velocità".
Veloce d'indole, ha sempre segnato agli esordi: con l'Internacional Puerto Alegre in Brasile, nel Mondiale per club, con l'Under '20 verdeoro, nella Copa Libertadores, nella Recopa sudamericana. E anche, ovviamente, alla prima col Milan in serie A (ma aveva fatto gol comunque anche nella prima amichevole con i rossoneri contro la Dinamo Kiev). Scatto, spallata, superato Domizzi, beffato Iezzo."Ho avuto una grande palla di Favalli, che mi aveva detto che avrei fatto gol. Ho fatto un movimento che mi piace, i miei gol sono sempre così...".
In attesa dei gol "sempre così" restano i giochi di parola. La mania ha già contagiato San Siro: è Pato...logia. Caro Pato, hai detto che il tuo gioco è la velocità? Non mi resta che augurarti di essere sempre veloce nel fuggire alle scivolate dei terzini avversari, ma non correre troppo... altrimenti non facciamo in tempo a sognare e innamorarci...