di Osvaldo Soriano
Alle tre del pomeriggio le due squadre scesero in campo vestite come se dovessero giocare una vera partita. Herminio Silva aveva la divisa nera, scolorita ma in ordine, e quando tutti furono schierati a centrocampo andò diritto verso il Cholo Rivero che gli aveva dato il pugno la domenica prima e lo espulse. Non era ancora stato inventato il cartellino rosso e Herminio Silva indicava la bocca del tunnel con mano ferma da cui pendeva il fischietto. Alla fine, la polizia portò via a spintoni il Cholo che sarebbe voluto rimanere a vedere il rigore. Allora l'arbitro andò fino alla porta con la palla stretta contro il fianco, contò dodici passi e la sistemò a terra. Il Gato Diaz si era pettinato con la brillantina e la testa gli risplendeva come una pentola di alluminio, e quando si dispose sulla riga di calce e prese a strofinarsi le mani nude cominciammo a scommettere su quale lato avrebbe scelto Constante Gauna.
Lungo la strada avevano interrotto la circolazione e tutti aspettavano quell'istante perchè erano dieci anni che il Deportivo Belgrano non perdeva una coppa nè il campionato. Anche i poliziotti volevano sapere, e così lasciarono che la catena di staffetta si dislocasse lungo tre chilometri e le notizie correvano di bocca in bocca ritmate dalle contrazioni del fiatone.
Alle tre e mezzo Constante Gauna, magro e muscoloso, si avvicinò per sistemare la palla. Aveva tirato tante volte quel rigore -raccontò poi- che l'avrebbe rifatto in ogni momento della sua vita, sveglio o addormentato.
Herminio si dispose a metà strada tra la porta e il pallone, portò il fischietto alla bocca e soffiò con tutte le sue forze. Era così nervoso e il sole aveva tanto martellato sulla sua nuca che quando il pallone partì in direzione della porta sentì gli occhi rovesciarglisi all'indietro e cadde di spalle. Diaz fece un passo in avanti e si buttò sulla destra. Il pallone partì roteando verso il centro della porta e Gauna indovinò subito che la gambe del Gato Diaz sarebbero riuscite a deviarlo di lato. Il Gato pensò al ballo della sera, alla gloria tardiva, al fatto che qualcuno sarebbe dovuto accorrere per mettere in corner il pallone che era rimasto a rotolare in area.
Mirabelli, il Petiso, arrivò per primo e la mise fuori, contro la rete metallica, ma Herminio Silva non poteva vederlo perchè stava a terra, in preda a un attacco di epilessia. Quando tutta l'Estrella Polar si rovesciò sopra al Gato Diaz per festeggiare, il guardalinee corse verso Herminio Silva con la bandierina alzata e dal muretto su cui eravamo seduti lo sentimmo gridare: «Non vale! Non vale!».
La notizia corse di bocca in bocca, gioiosa. La respinta del Gato e lo svenimento dell'arbitro. A quel punto sulla strada tutti aprirono damigiane di vino e cominciarono a festeggiare, sebbene il "non vale" continuasse ad arrivare balbettato dai messaggeri con una smorfia attonita.
Rialzatosi sconvolto, Silva volle sapere come prima cosa "che è successo" e quando glielo raccontarono scosse la testa e disse che bisognava tirare di nuovo perchè lui non era stato presente e il regolamento prescrive che la partita non si possa giocare con un arbitro svenuto.
Allora il Gato Diaz allontanò quelli che volevano pestare il venditore di biglietti della lotteria al Deportivo Belgrano e disse che bisognava sbrigarsi perchè la sera aveva un appuntamento e una promessa, e andò di nuovo a sistemarsi in porta.
Constante Gauna non doveva avere molta fiducia in sè stesso perchè propose a Padìn di tirare e solo dopo andò verso la palla mentre il guardalinee aiutava Herminio a stare in piedi.
Il tirò arrivò a sinistra e il Gato Diaz si buttò nella stessa direzione con un'eleganza e una sicurezza che non mostrò mai più. Constante Gauna alzò gli ochhi al cielo e cominciò a piangere.
Noi saltammo giù dal muretto e andammo a guardare da vicino Diaz, il vecchio, che rimirava il pallone che aveva tra le mani come se avesse estratto la pallina vincente alla lotteria.
Due anni dopo, quando il Gato era ormai un rudere e io un giovanotto insolente, me lo trovai ancora di fronte, a dodici passi di distanza, e lo vidi immenso, ranicchiato sulla punta dei piedi, con le dita aperte e lunghe. Aveva una fede al dito che non era della Rubia Ferreira ma della sorella del Cholo Rivero. Evitai di guardarlo negli occhi e cambiai piede; poi tirai di sinistro, basso, sapendo che non l'avrebbe parato perchè era molto rigido e portava il peso della gloria. Quando andai a raccogliere il pallone nella porta, si stava rialzando come un cane bastonato.
«Bene, ragazzo» mi disse. «Un giorno andrai in giro da queste parti a raccontare che hai segnato un gol al Gato Diaz, ma nessuno ti crederà.»
El penal mas largo del mundo
Tratto da: Osvaldo Soriano, Pensare con i piedi, Einaudi, Torino 1995.
domenica 21 ottobre 2007
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2 commenti:
Osvaldo Soriano (Mar del Plata 1944, Buenos Aires 1997) è stato un celebre giornalista e scrittore argentino.
Abbandona Buenos Aires in seguito al golpe di Videla del 1976, facendovi ritorno soltanto dieci anni dopo. I suoi libri amalgano opportunamente una proficua commistione di sottile umorismo, denuncia pacifista e propaganda socialdemocratica.
Appassionato di calcio, Soriano pubblica nel 1994 'Pensare con i piedi' -raccolta di racconti dedicati al calcio come arte dell'intelligenza- mentre nel 1998 viene pubblicato postumo 'Futbol', volume di diciannove racconti che disegnano una squadra immaginaria di personaggi scanzonati e affascinanti.
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