Raimundo Silva è abituato, non se la prende molto per le impertinenze di Costa, maleducazioni senza cattiveria, povero Costa, che non smette mai di parlare della produzione, È la produzione che ci rimette sempre, dice lui, sissignore, gli autori, i traduttori, i revisori, i grafici, ma se non fosse per questa nostra produzione, vorrei proprio vedere a che cosa gli servirebbe la sapienza, una casa editrice è come una squadra di calcio, tanti virtuosismi là davanti, tanti passaggi, tanti dribbling, tanto gioco di testa, ma se il portiere è uno di quelli paralitici o reumatici se ne va tutto a carte quarantotto, addio campionato, e Costa sintetizza, questa volta algebrico, La produzione sta alla casa editrice come il portiere sta alla squadra. Costa ha ragione.
José Saramago, Storia dell'assedio di Lisbona, Einaudi, Torino 1989, pp. 31-32
giovedì 31 gennaio 2008
lunedì 28 gennaio 2008
Real sugli scudi
REAL FELIX - U.S. CERANOVA 4-0
La diciottesima giornata di campionato restituisce agli antichi fasti la Real Felix che assegna alla capolista Ceranova la seconda e consecutiva durissima sconfitta. A segno per due volte ciascuno Pato e Trezeguet.
I Nerazzurri (Foggia, Cassano, Barreto) espugnano Bosa battendo l'Ichnusa (Hamsik) 3 reti a 1, mentre alla Longobarda non basta un gioiello di Mancini per evitare la coraggiosa rimonta della Lizkaino (1-2, Vigiani, Mutu).
L'Estudiantes, grazie a Pizarro e Pazzini in extremis, ferma sul 2-2 l'ottima Teo F.C. trascinata da un superlativo Del Piero, a segno per due volte.
0-0 infine tra le gemellate Flynet e Pascariello.
La diciottesima giornata di campionato restituisce agli antichi fasti la Real Felix che assegna alla capolista Ceranova la seconda e consecutiva durissima sconfitta. A segno per due volte ciascuno Pato e Trezeguet.
I Nerazzurri (Foggia, Cassano, Barreto) espugnano Bosa battendo l'Ichnusa (Hamsik) 3 reti a 1, mentre alla Longobarda non basta un gioiello di Mancini per evitare la coraggiosa rimonta della Lizkaino (1-2, Vigiani, Mutu).
L'Estudiantes, grazie a Pizarro e Pazzini in extremis, ferma sul 2-2 l'ottima Teo F.C. trascinata da un superlativo Del Piero, a segno per due volte.
0-0 infine tra le gemellate Flynet e Pascariello.
sabato 26 gennaio 2008
On my own two feet
Il coach della piccola università Indiana-Purdue University at Indianapolis di basket inventa una nuova forma di beneficenza: per sostenere la Samaritan’s feet -che si occupa di donare calzature ai meno fortunati- ha convinto i tifosi a presentarsi al palazzetto scalzi.
Il 2008 per gli afroamericani è un anno speciale: il 4 aprile, infatti, sarà il quarantesimo anniversario dell’assassinio di Martin Luther King. Le celebrazioni in suo onore saranno molte e alcune sono già partite in questo periodo.
Su un ideale podio delle iniziative più curiose merita quantomeno la segnalazione l’idea avuta da Ron Hunter, 43enne allenatore della squadra di basket dell’università di Iupui (Indiana-Purdue University at Indianapolis).
Hunter, l’8 gennaio scorso, è rimasto colpito dall’incontro con Emmanuel Ohonme, fondatore dell’associazione Samaritan’s Feet ("i piedi dei samaritani"). Ohonme, nigeriano, nato in una famiglia poverissima, ha ricevuto il primo paio di scarpe a 9 anni e ha potuto cominciare a giocare a basket, la sua passione. Una passione che l’ha portato anche negli Stati Uniti, con la maglia dell’università di North Dakota. Ma Ohonme non voleva giocare né nell’Nba né in qualsiasi campionato. Dopo la laurea, si è dedicato per un decennio al volontariato, fondando poi a Charlotte la Samaritan’s feet, che si occupa di donare ai bambini africani delle scarpe per giocare a basket. Ron Hunter ha così deciso di dare il suo contributo, lanciando una campagna: raccogliere 40mila paia di scarpe entro il 4 aprile.
Giovedì sera all’Iupui Gymnasium a Indianapolis -in occasione dell'ultimo incontro di campionato universitario tra i Jaguars (la squadra allenata da Hunter) e Oakland- circa mille spettatori si sono presentati scalzi sulle tribune. Così lo stesso allenatore di Iupui, in abito formale e scalzo a bordocampo.
Prima dell’ultima sirena per i bambini africani erano già state raccolte più di 110mila paia di scarpe: merito anche di multinazionali come Converse e Walmart, che ne hanno donate circa 40mila.
Il coach ha dichiarato poi commosso: «I piedi mi fanno male, ma immaginate un bambino che per tutta la vita è costretto a camminare scalzo. Io lavoro in un piccolo college, ma pensate all’esempio che darebbero gli allenatori delle grandi squadre di basket, se si presentassero senza scarpe sul parquet. In compenso abbiamo ricevuto moltissime e.mail di tecnici delle high-school, che si stanno comportando come noi».
Martin Luther King aveva un sogno...
Ispirato all'articolo di Alessandro Ruta per www.gazzetta.it
Il 2008 per gli afroamericani è un anno speciale: il 4 aprile, infatti, sarà il quarantesimo anniversario dell’assassinio di Martin Luther King. Le celebrazioni in suo onore saranno molte e alcune sono già partite in questo periodo.
Su un ideale podio delle iniziative più curiose merita quantomeno la segnalazione l’idea avuta da Ron Hunter, 43enne allenatore della squadra di basket dell’università di Iupui (Indiana-Purdue University at Indianapolis).
Hunter, l’8 gennaio scorso, è rimasto colpito dall’incontro con Emmanuel Ohonme, fondatore dell’associazione Samaritan’s Feet ("i piedi dei samaritani"). Ohonme, nigeriano, nato in una famiglia poverissima, ha ricevuto il primo paio di scarpe a 9 anni e ha potuto cominciare a giocare a basket, la sua passione. Una passione che l’ha portato anche negli Stati Uniti, con la maglia dell’università di North Dakota. Ma Ohonme non voleva giocare né nell’Nba né in qualsiasi campionato. Dopo la laurea, si è dedicato per un decennio al volontariato, fondando poi a Charlotte la Samaritan’s feet, che si occupa di donare ai bambini africani delle scarpe per giocare a basket. Ron Hunter ha così deciso di dare il suo contributo, lanciando una campagna: raccogliere 40mila paia di scarpe entro il 4 aprile.
Giovedì sera all’Iupui Gymnasium a Indianapolis -in occasione dell'ultimo incontro di campionato universitario tra i Jaguars (la squadra allenata da Hunter) e Oakland- circa mille spettatori si sono presentati scalzi sulle tribune. Così lo stesso allenatore di Iupui, in abito formale e scalzo a bordocampo.
Prima dell’ultima sirena per i bambini africani erano già state raccolte più di 110mila paia di scarpe: merito anche di multinazionali come Converse e Walmart, che ne hanno donate circa 40mila.
Il coach ha dichiarato poi commosso: «I piedi mi fanno male, ma immaginate un bambino che per tutta la vita è costretto a camminare scalzo. Io lavoro in un piccolo college, ma pensate all’esempio che darebbero gli allenatori delle grandi squadre di basket, se si presentassero senza scarpe sul parquet. In compenso abbiamo ricevuto moltissime e.mail di tecnici delle high-school, che si stanno comportando come noi».
Martin Luther King aveva un sogno...
Ispirato all'articolo di Alessandro Ruta per www.gazzetta.it
giovedì 24 gennaio 2008
Arancia meccanica
24 gennaio 1973
Ad Amsterdam l'Ajax si aggiudica la prima edizione della Supercoppa Europea superando il Glasgow Rangers per 3-2 (dopo essersi imposta 1-3 anche nell'andata all'Hampden Park). Nell'Ajax militarono in quell'anno Krol, Haan, Neeskens e Cruijff.
Sei giocatori furono invece protagonisti di tutte le sei grandi vittorie internazionali dell'Ajax, ovvero 3 Coppe dei Campioni consecutive tra il '71 e il '73 (contro Panathinaikos, Inter e Juventus), una coppa Intercontinentale nel 1972 contro l'Independiente e 2 Supercoppe Europee (la seconda nel 1974 contro il Milan): si tratta del portiere Heinz Stuy, dei difensori Wim Suurbier, Barry Hulshoff e Horst Blankenburg e dei centrocampisti Gerrie Muhren e Arie Haan.
I Glasgow Rangers non disputarono gli incontri della prima edizione di Supercoppa contro l'Ajax in qualità di detentori della Coppa UEFA (vinta nella stagione 1971/72 dal Tottenham) bensì per la commemorazione dei loro primi cento anni di storia calcistica.
Ad Amsterdam l'Ajax si aggiudica la prima edizione della Supercoppa Europea superando il Glasgow Rangers per 3-2 (dopo essersi imposta 1-3 anche nell'andata all'Hampden Park). Nell'Ajax militarono in quell'anno Krol, Haan, Neeskens e Cruijff.
Sei giocatori furono invece protagonisti di tutte le sei grandi vittorie internazionali dell'Ajax, ovvero 3 Coppe dei Campioni consecutive tra il '71 e il '73 (contro Panathinaikos, Inter e Juventus), una coppa Intercontinentale nel 1972 contro l'Independiente e 2 Supercoppe Europee (la seconda nel 1974 contro il Milan): si tratta del portiere Heinz Stuy, dei difensori Wim Suurbier, Barry Hulshoff e Horst Blankenburg e dei centrocampisti Gerrie Muhren e Arie Haan.
I Glasgow Rangers non disputarono gli incontri della prima edizione di Supercoppa contro l'Ajax in qualità di detentori della Coppa UEFA (vinta nella stagione 1971/72 dal Tottenham) bensì per la commemorazione dei loro primi cento anni di storia calcistica.
mercoledì 23 gennaio 2008
Deus ex machina
U.S. CERANOVA-ESTUDIANTES 1-5
Con una maiuscola prestazione l'Estudiantes costringe la capolista Ceranova alla sconfitta più pesante della stagione.
Incontro equilibrato in apertura, con la pronta risposta di Pandev alla rete iniziale di Borriello. Studenti in vantaggio con Ledesma, prima di dilagare con due reti di Zlatan Ibrahimovic -hombre del partido- e sigillo finale di Cigarini.
La Lizkaino supera per due reti a uno e raggiunge in seconda posizione di classifica la SS Bosa Ichnusa (gol di Vieri, Mutu e Hamsyk). Rallenta la Teo F.C, che passa con De Rossi ma viene raggiunta nel finale da una rete in mischia di Loria per la Pascariello. I Nerazzurri superano agevolmente un'irriconoscibile e abulica Real Felix (3-0 con reti di Cozza, Cambiasso e Tavano), mentre Flynet e Longobarda (0-0) scelgono la non belligeranza in attesa di tempi migliori.
Con una maiuscola prestazione l'Estudiantes costringe la capolista Ceranova alla sconfitta più pesante della stagione.
Incontro equilibrato in apertura, con la pronta risposta di Pandev alla rete iniziale di Borriello. Studenti in vantaggio con Ledesma, prima di dilagare con due reti di Zlatan Ibrahimovic -hombre del partido- e sigillo finale di Cigarini.
La Lizkaino supera per due reti a uno e raggiunge in seconda posizione di classifica la SS Bosa Ichnusa (gol di Vieri, Mutu e Hamsyk). Rallenta la Teo F.C, che passa con De Rossi ma viene raggiunta nel finale da una rete in mischia di Loria per la Pascariello. I Nerazzurri superano agevolmente un'irriconoscibile e abulica Real Felix (3-0 con reti di Cozza, Cambiasso e Tavano), mentre Flynet e Longobarda (0-0) scelgono la non belligeranza in attesa di tempi migliori.
sabato 19 gennaio 2008
Il Re è morto
Mai come in questo momento il termine «scacco matto è stato così pregno di significato, così attinente alla sua stessa antica etimologia: il re è morto,. Non un sovrano qualsiasi, ma quello che milioni di scacchisti in tutto il mondo hanno da sempre considerato il re degli scacchi. Morto in un ospedale di Reykjavik, la capitale dell'Islanda, proprio in quella città in cui trentacinque anni fa vinse il primo campionato mondiale di scacchi, battendo Boris Spassky e, con lui, l'annosa supremazia sovietica.
Robert James Fisher, noto a tutti come Bobby, il ragazzo di Brooklyn che aveva iniziato ad esibirsi al Manhattan Chess Club nei primi anni Cinquanta, emerse nel giro di pochi anni tra tutte le promesse scacchistiche che affollavano lo storico circolo di New York. Campione degli Stati Uniti a quattordici anni, grande maestro a quindici; poco più che un bambino, già si diveriva a «demolire l'ego» dei suoi avverasri, allora il fior fiore dello scacchismo statunitense. Già allora la personalità di Bobby Fisher rispecchiava i tratti del suo gioco: eccentrico, geniale, intransigente, ribelle. Nella sua totale dedizione agli scacchi non c'era posto per altro, le sue uniche letture: manuali e riviste di scacchi; l'umanità stessa era rappresentata solo da giocatori di scacchi e, tra questi, c'erano quelli buoni e quelli mediocri.
Aveva un solo interesse nella vita e un unico scopo da perseguire e conquistare il titolo mondiale. E la sua ascesa al titolo fu quanto di più spettacolare ci si potesse aspettare. Nei suoi incontri di qualificazione per il titolo annientò il russo Mark Tajmanov e il danese Bent Larsen per 6 a 0 e dopo aver vinto con il russo Tigran Petrosjan, soprannominato l'orso per «l'abbraccio mortale» con cui stritolava la difesa dei suoi avvesari, non restava che l'ultimo incontro con il campione sovietico Boris Spassky.
Sulle vicende di quello storico match giocato a Rykjavik nel 1972, nel periodo più critico della guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica si sono scritte decine di migliaia di pagine che varrebbe la pena di rileggere. Il ragazzo di Brooklyn, da solo, con la sua caparbietà e la sua voglia di vincere diventò il paladino di un'America in cui era ancora possibile credere. Dopo la vittoria suprema (Fischer concedette la rivincita a Spassky nel settembre '92, disputata nell'ex Jugoslavia sotto embargo Onu) seguì una forma di declino inarrestabile. Esiliato a Budapest per decenni a causa delle sue idee («Perchè ho scelto di vivere a Budapest? Ci sono le donne più belle del mondo. Si vedono più donne belle qui in cinque minuti che a Los Angeles in una settimana»), finì per trovare rifugio proprio in quella città in cui si era avverato il suo sogno. C'è nella vita contraddittoria e ribelle di Bobby Fischer una sorta di purezza, un ideale di verità e bellezza che trascende la grandezza del suo gioco.
di Paolo Maurensig, La Gazzetta dello Sport, 19 gennaio 2008
Robert James Fisher, noto a tutti come Bobby, il ragazzo di Brooklyn che aveva iniziato ad esibirsi al Manhattan Chess Club nei primi anni Cinquanta, emerse nel giro di pochi anni tra tutte le promesse scacchistiche che affollavano lo storico circolo di New York. Campione degli Stati Uniti a quattordici anni, grande maestro a quindici; poco più che un bambino, già si diveriva a «demolire l'ego» dei suoi avverasri, allora il fior fiore dello scacchismo statunitense. Già allora la personalità di Bobby Fisher rispecchiava i tratti del suo gioco: eccentrico, geniale, intransigente, ribelle. Nella sua totale dedizione agli scacchi non c'era posto per altro, le sue uniche letture: manuali e riviste di scacchi; l'umanità stessa era rappresentata solo da giocatori di scacchi e, tra questi, c'erano quelli buoni e quelli mediocri.
Aveva un solo interesse nella vita e un unico scopo da perseguire e conquistare il titolo mondiale. E la sua ascesa al titolo fu quanto di più spettacolare ci si potesse aspettare. Nei suoi incontri di qualificazione per il titolo annientò il russo Mark Tajmanov e il danese Bent Larsen per 6 a 0 e dopo aver vinto con il russo Tigran Petrosjan, soprannominato l'orso per «l'abbraccio mortale» con cui stritolava la difesa dei suoi avvesari, non restava che l'ultimo incontro con il campione sovietico Boris Spassky.
Sulle vicende di quello storico match giocato a Rykjavik nel 1972, nel periodo più critico della guerra fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica si sono scritte decine di migliaia di pagine che varrebbe la pena di rileggere. Il ragazzo di Brooklyn, da solo, con la sua caparbietà e la sua voglia di vincere diventò il paladino di un'America in cui era ancora possibile credere. Dopo la vittoria suprema (Fischer concedette la rivincita a Spassky nel settembre '92, disputata nell'ex Jugoslavia sotto embargo Onu) seguì una forma di declino inarrestabile. Esiliato a Budapest per decenni a causa delle sue idee («Perchè ho scelto di vivere a Budapest? Ci sono le donne più belle del mondo. Si vedono più donne belle qui in cinque minuti che a Los Angeles in una settimana»), finì per trovare rifugio proprio in quella città in cui si era avverato il suo sogno. C'è nella vita contraddittoria e ribelle di Bobby Fischer una sorta di purezza, un ideale di verità e bellezza che trascende la grandezza del suo gioco.
di Paolo Maurensig, La Gazzetta dello Sport, 19 gennaio 2008
mercoledì 16 gennaio 2008
Il potere e la gloria
ESTUDIANTES-NERAZZURRI 5-4
L'impresa della sedicesima giornata di lega, la prima del nuovo anno, è dell'Estudiantes che supera tra le mura amiche (nonostante la scelta molto discutibile di non schierare Ronaldo) i Nerazzurri in una partita che, ai fini del torneo, varrà verosimilmente non più di una riga di statistica ma che, grazie all'altissimo livello dello spettacolo registrato in campo, sarà ricordata come uno degli incontri più belli di sempre.
A segno per gli studenti Stefano Mauri, Zlatan Ibrahimovic (2) e Marco Borriello (2). Per i Nerazzurri due volte Francesco Tavano, Esteban Cambiasso e Antonio Cassano. Buone anche le prove di Andrea Pirlo da una parte e Alexander Doni dall'altra.
Nonostante la splendida vittoria, in casa Estudiantes il mood è ancora bassissimo a causa dell'ultima posizione in classifica di una squadra che, solo pochi mesi fa ha chiuso la scorsa stagione con lo storico treble campionato/coppa/supercoppa di Lega. Fuori luogo ogni ambizione di rimonta, così come ancora ai limiti del pensabile la corsa sulla Real Felix -storica e sfrontata rivale- sconfitta (0-3) in questo turno dalla concretissima A.C. Lizkaino (a segno Totti e due volte Mutu). Prosegue intanto il difficile riavvicinamento della S.S. Bosa Ichnusa (cui basta l'acuto di Kakà per piegare le resistenze della Flynet) alla solida capolista Ceranova, nonostante la seconda sconfitta stagionale della squadra già campione d'inverno nel derby con la giovane Teo F.C. (2-1 con reti di Spinesi, Del Piero e Bellucci). Chiude il quadro di giornata la vittoria dell'A.S. Pascariello sulla Longobarda per 2 reti a 1 (a segno Di Natale, Quagliarella e Amantino Mancini).
L'impresa della sedicesima giornata di lega, la prima del nuovo anno, è dell'Estudiantes che supera tra le mura amiche (nonostante la scelta molto discutibile di non schierare Ronaldo) i Nerazzurri in una partita che, ai fini del torneo, varrà verosimilmente non più di una riga di statistica ma che, grazie all'altissimo livello dello spettacolo registrato in campo, sarà ricordata come uno degli incontri più belli di sempre.
A segno per gli studenti Stefano Mauri, Zlatan Ibrahimovic (2) e Marco Borriello (2). Per i Nerazzurri due volte Francesco Tavano, Esteban Cambiasso e Antonio Cassano. Buone anche le prove di Andrea Pirlo da una parte e Alexander Doni dall'altra.
Nonostante la splendida vittoria, in casa Estudiantes il mood è ancora bassissimo a causa dell'ultima posizione in classifica di una squadra che, solo pochi mesi fa ha chiuso la scorsa stagione con lo storico treble campionato/coppa/supercoppa di Lega. Fuori luogo ogni ambizione di rimonta, così come ancora ai limiti del pensabile la corsa sulla Real Felix -storica e sfrontata rivale- sconfitta (0-3) in questo turno dalla concretissima A.C. Lizkaino (a segno Totti e due volte Mutu). Prosegue intanto il difficile riavvicinamento della S.S. Bosa Ichnusa (cui basta l'acuto di Kakà per piegare le resistenze della Flynet) alla solida capolista Ceranova, nonostante la seconda sconfitta stagionale della squadra già campione d'inverno nel derby con la giovane Teo F.C. (2-1 con reti di Spinesi, Del Piero e Bellucci). Chiude il quadro di giornata la vittoria dell'A.S. Pascariello sulla Longobarda per 2 reti a 1 (a segno Di Natale, Quagliarella e Amantino Mancini).
martedì 15 gennaio 2008
È nata una stella
di Andrea Garnero
Un palloncino pieno di coriandoli. Esploso il palloncino, è cominciata la festa del Milan. Pato ha eccitato il campionato soporifero dell'Inter padrona. Ha aperto il 2008 con un gol segnato al Napoli e uno mangiato, ha persino tolto luce al redivivo Ronaldo, che pure è tornato dal nulla con una doppietta.
Di più, ha innescato il gioco degli acronimi per declinare, sulla scia del glorioso Gre-No-Li, il tridente brasiliano. Lui che è un (sopran)nome, un suffisso: "pato". Aggiungeteci quel che vi pare. Ha diciotto anni, la "macchinetta per i denti", esulta come un adolescente mimando un cuore alla fidanzatina in tribuna, come l'avrebbe disegnato un liceale qualunque sul diario. Personaggio da poster in camera. Pato significa 'papero' e ha le scarpe arancioni come le zampe di Paperino "perchè l'azienda (quella dello swoosh) ha deciso così".
Candidamente fenomeno. Anzi no, "il vero fenomeno è solo Ronaldo", puntualizza lui. Suo idolo, sua chioccia. Sull'intreccio di questi due brasiliani si costruisce il 2008 del Milan. Biunivoci. Ancelotti ha fatto forse chiarezza: "È Pato che ha trovato la sua sponda ideale in Ronaldo, non il contrario". Cioè Ronaldo co-protagonista, al limite. Fa nienteche praticamente da fermo Ronie abbia fatto una doppietta e diversi assist. La classe resta, il futuro va da un'altra parte. Giovani, giovani, giovani, volti freschi... anche Rivera, il golden boy nato ad Alessandria il 18 agosto del '43 (non è un caso che mia mamma, d'Alessandria pure lei, "simpatizzi" per il Milan) giocava in A a 16 anni.
Il Milan ha trovato in una serata di generosa difesa napoletana una rivincita di puro show, riassunto nei fenomeni, vecchi e nuovi, più il Pallone d'oro Kakà, che nella sua superiorità ormai fa poco notizia. Valgono cento volte di più le tre parole italo-brasiliane che il ragazzino più atteso del 2008 distribuisce alle tv in un crescendo di "sono molto felice" e "sono molto contento". "È un sogno giocare con questi campioni -dice- Prima della partita ero molto sereno perchè parlando con loro e col tecnico mi hanno detto tutti di stare tranquillo e di fare quello che so fare, che è giocare al calcio. Quello che mi piace di più è la velocità. Mi piace sempre quando gioco la velocità".
Veloce d'indole, ha sempre segnato agli esordi: con l'Internacional Puerto Alegre in Brasile, nel Mondiale per club, con l'Under '20 verdeoro, nella Copa Libertadores, nella Recopa sudamericana. E anche, ovviamente, alla prima col Milan in serie A (ma aveva fatto gol comunque anche nella prima amichevole con i rossoneri contro la Dinamo Kiev). Scatto, spallata, superato Domizzi, beffato Iezzo."Ho avuto una grande palla di Favalli, che mi aveva detto che avrei fatto gol. Ho fatto un movimento che mi piace, i miei gol sono sempre così...".
In attesa dei gol "sempre così" restano i giochi di parola. La mania ha già contagiato San Siro: è Pato...logia. Caro Pato, hai detto che il tuo gioco è la velocità? Non mi resta che augurarti di essere sempre veloce nel fuggire alle scivolate dei terzini avversari, ma non correre troppo... altrimenti non facciamo in tempo a sognare e innamorarci...
Un palloncino pieno di coriandoli. Esploso il palloncino, è cominciata la festa del Milan. Pato ha eccitato il campionato soporifero dell'Inter padrona. Ha aperto il 2008 con un gol segnato al Napoli e uno mangiato, ha persino tolto luce al redivivo Ronaldo, che pure è tornato dal nulla con una doppietta.
Di più, ha innescato il gioco degli acronimi per declinare, sulla scia del glorioso Gre-No-Li, il tridente brasiliano. Lui che è un (sopran)nome, un suffisso: "pato". Aggiungeteci quel che vi pare. Ha diciotto anni, la "macchinetta per i denti", esulta come un adolescente mimando un cuore alla fidanzatina in tribuna, come l'avrebbe disegnato un liceale qualunque sul diario. Personaggio da poster in camera. Pato significa 'papero' e ha le scarpe arancioni come le zampe di Paperino "perchè l'azienda (quella dello swoosh) ha deciso così".
Candidamente fenomeno. Anzi no, "il vero fenomeno è solo Ronaldo", puntualizza lui. Suo idolo, sua chioccia. Sull'intreccio di questi due brasiliani si costruisce il 2008 del Milan. Biunivoci. Ancelotti ha fatto forse chiarezza: "È Pato che ha trovato la sua sponda ideale in Ronaldo, non il contrario". Cioè Ronaldo co-protagonista, al limite. Fa nienteche praticamente da fermo Ronie abbia fatto una doppietta e diversi assist. La classe resta, il futuro va da un'altra parte. Giovani, giovani, giovani, volti freschi... anche Rivera, il golden boy nato ad Alessandria il 18 agosto del '43 (non è un caso che mia mamma, d'Alessandria pure lei, "simpatizzi" per il Milan) giocava in A a 16 anni.
Il Milan ha trovato in una serata di generosa difesa napoletana una rivincita di puro show, riassunto nei fenomeni, vecchi e nuovi, più il Pallone d'oro Kakà, che nella sua superiorità ormai fa poco notizia. Valgono cento volte di più le tre parole italo-brasiliane che il ragazzino più atteso del 2008 distribuisce alle tv in un crescendo di "sono molto felice" e "sono molto contento". "È un sogno giocare con questi campioni -dice- Prima della partita ero molto sereno perchè parlando con loro e col tecnico mi hanno detto tutti di stare tranquillo e di fare quello che so fare, che è giocare al calcio. Quello che mi piace di più è la velocità. Mi piace sempre quando gioco la velocità".
Veloce d'indole, ha sempre segnato agli esordi: con l'Internacional Puerto Alegre in Brasile, nel Mondiale per club, con l'Under '20 verdeoro, nella Copa Libertadores, nella Recopa sudamericana. E anche, ovviamente, alla prima col Milan in serie A (ma aveva fatto gol comunque anche nella prima amichevole con i rossoneri contro la Dinamo Kiev). Scatto, spallata, superato Domizzi, beffato Iezzo."Ho avuto una grande palla di Favalli, che mi aveva detto che avrei fatto gol. Ho fatto un movimento che mi piace, i miei gol sono sempre così...".
In attesa dei gol "sempre così" restano i giochi di parola. La mania ha già contagiato San Siro: è Pato...logia. Caro Pato, hai detto che il tuo gioco è la velocità? Non mi resta che augurarti di essere sempre veloce nel fuggire alle scivolate dei terzini avversari, ma non correre troppo... altrimenti non facciamo in tempo a sognare e innamorarci...
lunedì 14 gennaio 2008
Questa notte è ancora nostra
Domenica 13 gennaio 2008
È una notte speciale, nessuno si senta offeso.
I cancelli dello stadio Meazza vengono aperti con largo anticipo perchè, dopo l'ultimo recente successo in Coppa Intercontinentale, il Milan sfila in parata prima della partita con il tesoro della corona, i 18 trofei internazionali che ratificano la squadra più titolata al mondo.
È la prima dei tre brasiliani, che una missiva presidenziale circoscrive vengano chiamati "il trio delle meraviglie"; a me l'accezione non piace (e verosimilmente per questo motivo Futbolandia verrà presto sottoposta a editto bulgaro, pertanto irrimediabilmente oscurata) ma bisogna ammettere che "renda bene l'idea", perchè la suggestione è innegabile sin dalla lettura delle formazioni.
L'incontro inizia ma Kakà parte lento, Ronaldo sembra in condizioni fisiche precarie, il piccolo Pato si presenta con due falli in attacco e fraseggi un pò nervosi. È ragionevole "tornare con i piedi per terra" e valutare più obiettivamente un Kakà forse momentaneamente pago della grande abbuffata di successi di squadra e gratificazioni personali, quel che resta di Ronaldo e un agitato ragazzino dalla parvenza poco credibile?
Nient'affatto: Ronaldo apre le marcature (un pò fortunosamente), Pato ha l'argento vivo e calcia (bene) in porta da ogni dove -destro o sinistro- si divora un gol (con regalino confezionato ad hoc dallo zio Ronie) ma segna Seedorf (che, in serate come questa, deve aver un pò sofferto per mancanza di attenzioni). Kakà aumenta il passo ma il Napoli (che merita un sincero e guadagnato plauso) gioca a viso scoperto, segna due reti e chiude la prima frazione in parità.
Sul tabellone di San Siro (nuovo, bellissimo, ma a quel vecchio quadro malfunzionante Futbolandia si era un pò affezionata... sigh!) scorrono le immagini dei trofei vinti: Londra, Atene, Barcellona, Manchester, Montecarlo, Tokyo; l'emozione non ha voce e ci si dimentica persino di fumare la consueta sigaretta dell'intervallo.
In un'atmosfera surreale di sospesa fascinazione ricomincia l'incontro e dopo alcuni istanti segna ancora Ronaldo. Kakà firma il 4-2 con un sofistico destro da fuori, Pato si sbarazza dell'ormai evacuato bastione partenopeo e realizza l'ultima rete della partita scaricando ogni accumulo di tensione con qualche lacrima e un cuoricino mucciniano per la nuova fidanzatina (chi non ha fatto cag**e simili a diciott'anni scagli la prima pietra...), poi salta ancora l'uomo e fionda (ancora!) da posizione improbabile.
Basta così: primo "trenta" sul libretto per la matricola numero 7 Pato (e bagno di umiltà quando, alla domanda sgangherata di un inesperto cronista in piena ansia da prestazione -ti piacerebbe essere chiamato fenomeno?- risponde -io sono soltanto Alexandre, il fenomeno è Ronie-) prima vittoria interna in campionato e cinque reti (dopo averne realizzata una sola su azione in quattro mesi) in un'unica uscita.
Kakà, Pato, Ronaldo: tre metri sopra il cielo.
È una notte speciale, nessuno si senta offeso.
I cancelli dello stadio Meazza vengono aperti con largo anticipo perchè, dopo l'ultimo recente successo in Coppa Intercontinentale, il Milan sfila in parata prima della partita con il tesoro della corona, i 18 trofei internazionali che ratificano la squadra più titolata al mondo.
È la prima dei tre brasiliani, che una missiva presidenziale circoscrive vengano chiamati "il trio delle meraviglie"; a me l'accezione non piace (e verosimilmente per questo motivo Futbolandia verrà presto sottoposta a editto bulgaro, pertanto irrimediabilmente oscurata) ma bisogna ammettere che "renda bene l'idea", perchè la suggestione è innegabile sin dalla lettura delle formazioni.
L'incontro inizia ma Kakà parte lento, Ronaldo sembra in condizioni fisiche precarie, il piccolo Pato si presenta con due falli in attacco e fraseggi un pò nervosi. È ragionevole "tornare con i piedi per terra" e valutare più obiettivamente un Kakà forse momentaneamente pago della grande abbuffata di successi di squadra e gratificazioni personali, quel che resta di Ronaldo e un agitato ragazzino dalla parvenza poco credibile?
Nient'affatto: Ronaldo apre le marcature (un pò fortunosamente), Pato ha l'argento vivo e calcia (bene) in porta da ogni dove -destro o sinistro- si divora un gol (con regalino confezionato ad hoc dallo zio Ronie) ma segna Seedorf (che, in serate come questa, deve aver un pò sofferto per mancanza di attenzioni). Kakà aumenta il passo ma il Napoli (che merita un sincero e guadagnato plauso) gioca a viso scoperto, segna due reti e chiude la prima frazione in parità.
Sul tabellone di San Siro (nuovo, bellissimo, ma a quel vecchio quadro malfunzionante Futbolandia si era un pò affezionata... sigh!) scorrono le immagini dei trofei vinti: Londra, Atene, Barcellona, Manchester, Montecarlo, Tokyo; l'emozione non ha voce e ci si dimentica persino di fumare la consueta sigaretta dell'intervallo.
In un'atmosfera surreale di sospesa fascinazione ricomincia l'incontro e dopo alcuni istanti segna ancora Ronaldo. Kakà firma il 4-2 con un sofistico destro da fuori, Pato si sbarazza dell'ormai evacuato bastione partenopeo e realizza l'ultima rete della partita scaricando ogni accumulo di tensione con qualche lacrima e un cuoricino mucciniano per la nuova fidanzatina (chi non ha fatto cag**e simili a diciott'anni scagli la prima pietra...), poi salta ancora l'uomo e fionda (ancora!) da posizione improbabile.
Basta così: primo "trenta" sul libretto per la matricola numero 7 Pato (e bagno di umiltà quando, alla domanda sgangherata di un inesperto cronista in piena ansia da prestazione -ti piacerebbe essere chiamato fenomeno?- risponde -io sono soltanto Alexandre, il fenomeno è Ronie-) prima vittoria interna in campionato e cinque reti (dopo averne realizzata una sola su azione in quattro mesi) in un'unica uscita.
Kakà, Pato, Ronaldo: tre metri sopra il cielo.
domenica 13 gennaio 2008
Un'emozione per volta
Caro Alexandre,
Vuoi che questa sera lo stadio sarà gremito in ogni ordine di posti per la prima del 2008 contro una squadra che, in virtù dell'antica fascinazione maradoniana, ancora gode di considerevole ascendenza calcistica e di un encomiabile sviscerato entusiasmo popolare pressochè immutato negli anni...
Vuoi che il peso della maglia rossonera numero sette, con quelle centoventisette reti segnate in meno di sette anni, per lunghi tratti di partita o di carriera ti sembrerà insostenibile e forse maledirai quel giorno di canicola, quando il tuo spontaneo vitalismo adolescenziale ti ha spinto a fronteggiare le arrischiate malie della sfida più seducente...
Vuoi che se la prima giocata avrà buon esito, allora i più giovani sui gradini salteranno in piedi in estasi contemplativa agevolando così la tua precoce investitura, ma se poi fallirai i i tre tocchi successivi, molti saccenti bravacci meneghini -infastiditi dal freddo e dall'artrosi reumatoide post rampa mefistofelica- storceranno il naso o, nella peggiore delle ipotesi, ti copriranno di improperi in endecasillabi liberi...
Vuoi che da lunghi mesi gli esteti casciavìt -insofferenti, con beneplacito del buon Gilardino, dell'ormai saturo modulo a una punta- confidano nella rinnovata efficacia di "un'agile seconda punta in grado di spaziare proficuamente sull'intero fronte d'attacco", e che le consuete macchinazioni mediatiche hanno ingrandito a dismisura il fervore dell'aspettativa, noncuranti della tua giovanissima età, del lungo 'riposo' forzato e del tuo esile fisico ancora tutto da plasmare...
Per tutte queste e altre spiegazioni, il tuo esordio tra poche ore sarà scomodo e insidioso, e quando le gambe ti tremeranno tu non ascoltarle, quando i pensieri smarriranno lucidità chiudi gli occhi e pensa alle gaudenti rive di Pato Branco, quando sentirai il fiato cortissimo e ti sembrerà di non farcela fermati fai un bel respiro e cerca, dietro le smorfie feroci dei difensori partenopei bramosi di annularti, gli occhi indulgenti del tuo capitano, di un angelo biondo, di un tuo connazionale o le espressioni bonarie del tuo nuovo allenatore, senza curarti di quel gradasso d'un Gattuso.
Gioca con la distensione di un cunctator e la grazia di un Narciso, senza l'impeto disordinato di un ussaro in livrea. Esci dal campo a testa alta comunque vada e rispondi con un timido sorriso a chi ti riserverà sinceri applausi... comunque vada.
Boa sorte piccolo Pato.
Vuoi che questa sera lo stadio sarà gremito in ogni ordine di posti per la prima del 2008 contro una squadra che, in virtù dell'antica fascinazione maradoniana, ancora gode di considerevole ascendenza calcistica e di un encomiabile sviscerato entusiasmo popolare pressochè immutato negli anni...
Vuoi che il peso della maglia rossonera numero sette, con quelle centoventisette reti segnate in meno di sette anni, per lunghi tratti di partita o di carriera ti sembrerà insostenibile e forse maledirai quel giorno di canicola, quando il tuo spontaneo vitalismo adolescenziale ti ha spinto a fronteggiare le arrischiate malie della sfida più seducente...
Vuoi che se la prima giocata avrà buon esito, allora i più giovani sui gradini salteranno in piedi in estasi contemplativa agevolando così la tua precoce investitura, ma se poi fallirai i i tre tocchi successivi, molti saccenti bravacci meneghini -infastiditi dal freddo e dall'artrosi reumatoide post rampa mefistofelica- storceranno il naso o, nella peggiore delle ipotesi, ti copriranno di improperi in endecasillabi liberi...
Vuoi che da lunghi mesi gli esteti casciavìt -insofferenti, con beneplacito del buon Gilardino, dell'ormai saturo modulo a una punta- confidano nella rinnovata efficacia di "un'agile seconda punta in grado di spaziare proficuamente sull'intero fronte d'attacco", e che le consuete macchinazioni mediatiche hanno ingrandito a dismisura il fervore dell'aspettativa, noncuranti della tua giovanissima età, del lungo 'riposo' forzato e del tuo esile fisico ancora tutto da plasmare...
Per tutte queste e altre spiegazioni, il tuo esordio tra poche ore sarà scomodo e insidioso, e quando le gambe ti tremeranno tu non ascoltarle, quando i pensieri smarriranno lucidità chiudi gli occhi e pensa alle gaudenti rive di Pato Branco, quando sentirai il fiato cortissimo e ti sembrerà di non farcela fermati fai un bel respiro e cerca, dietro le smorfie feroci dei difensori partenopei bramosi di annularti, gli occhi indulgenti del tuo capitano, di un angelo biondo, di un tuo connazionale o le espressioni bonarie del tuo nuovo allenatore, senza curarti di quel gradasso d'un Gattuso.
Gioca con la distensione di un cunctator e la grazia di un Narciso, senza l'impeto disordinato di un ussaro in livrea. Esci dal campo a testa alta comunque vada e rispondi con un timido sorriso a chi ti riserverà sinceri applausi... comunque vada.
Boa sorte piccolo Pato.
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