sabato 10 novembre 2007

L'insostenibile leggerezza dell'essere

Paolo Mantovani era diverso dagli altri presidenti, perchè lui si divertiva a farlo.
Sull’aereo, di ritorno dal Belgio dove la Samp aveva perso con il Makelen, ero fra lui e Boskov che ritenevo il responsabile della sconfitta.
«Lo mandi via prima del ritorno, altrimenti non andremo mai avanti in Coppa…» gli dicevo tra il serio e lo scherzoso con Boskov che avrebbe voluto strozzarmi.
E Mantovani replicò: «Guardi Rossi, sono sicuro che passeremo il turno. In tal caso lei cosa è disposto a fare?»
Gli risposi: «Mi metto in ginocchio e dico a Boskov che è il più grande allenatore del mondo…». Boskov intervenne, mi porse la mano e disse: accetto.
Gara di ritorno, vince la Samp per 3-0 e passa il turno.
Mentre sto scrivendo l’articolo per "Il Giorno", arriva Mantovani e mi dice: «Per favore venga con me». Io mi alzo e lo seguo in una saletta del ristorante Edilio dove c’è Boskov che mi aspetta. Io mi ero dimenticato della promessa e Mantovani me la ricorda: «Prego si metta in ginocchio». E mi inginocchiai davanti a Boskov dicendo: «Sei il più grande allenatore del mondo...». Poi champagne per tutti e tre.
Ma era durante il calciomercato che Mantovani si divertiva di più.
Una volta mi telefonò verso le otto di sera, quando resta poco tempo per scrivere e occorre dare gli ultimi aggiornamenti. Saltò tutti i preliminari: «Sono in un isola lontano dall’Italia, ho venduto un giocatore di sei lettere, ruolo di sei lettere, a una squadra di sei lettere», mi disse tutto d’un fiato prima di mettermi giù la cornetta.
Era Renica, libero, ceduto al Napoli…
Un pomeriggio del luglio del 1988 ero in ufficio e assieme al collega Pianura (il cognome naturalmente è un altro) simpatizzante dell’Inter e mi chiamò Mantovani per dirmi che il Milan gli aveva chiesto Vierchowod.
Avevo messo il 'viva voce' e Pianura sentì tutto e si affrettò a darmi un suggerimento che riferii subito a Mantovani: «Presidente, c’è il collega Pianura se non vende Vierchowod al Milan le promette un regalo».
La risposta di Mantovani fu gelida: «Io non voglio regali, ma soldi».
Pianura rimase sbigottito: Mantovani era considerato uno degli uomini più ricchi d’Italia, quanti soldi avrebbe dovuto dargli affinché Vierchowod non finisse al Milan?
Passa una settimana e Mantovani mi chiama: «Domani vengo a Milano, dica a Pianura che ci troviamo in Piazza Medaglie d’oro a mezzogiorno, deve mantenere la promessa».
Il giorno dopo, almeno quaranta gradi all’ombra, Pianura ed io puntuali all’appuntamento. Andiamo al ristorante e dopo il dolce Mantovani chiede a Pianura di pagargli il mancato trasferimento di Vierchowod al Milan.
Pianura non sa che dire, vorrebbe sprofondare e Mantovani gli viene incontro: «Mi firmi un assegno in bianco».
Cosa che Pianura regolarmente fa. Mantovani prende l’assegno e ci scrive sopra la cifra, "diecimila lire", ringrazia e se ne torna a Bogliasco.
Quell’assegno non fu mai mandato all’incasso e per anni è rimasto incorniciato sulla parete dell’ufficio di Mantovani a Bogliasco.
Lui era un presidente così, un presidente che prima di ogni altra cosa cercava il divertimento: per se stesso, i tifosi della Samp e per tutti quelli ai quali voleva
bene.

Scritto da Franco Rossi e pubblicato su Il Corriere dello Sport il 6 luglio 2004.

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