lunedì 15 ottobre 2007

Il quinto Beatle

di Paolo Pegoraro

Il 15 ottobre del 1967 perde la vita in un tragico incidente Gigi Meroni, autentico fuoriclasse del Torino. Il destino beffardo volle che a investirlo fu Attilio Romero, futuro presidente del Toro. Una gestione non certa fortunata la sua, culminata con il fallimento della società nel 2005.
Luigi Meroni cresce nelle giovanili del Como, squadra con la quale approda nel calcio professionistico, nel campionato di serie B. Nel 1962 passa al Genoa e debutta nel massimo campionato; la sua consacrazione definitiva avviene due anni più tardi con il passaggio al Torino. Colleziona 103 presenze e un totale di 22 gol con la maglia granata. Con la nazionale italiana gioca in sei occasioni, segnando due gol (uno dei quali, splendido, alla nazionale Argentina in un’amichevole di preparazione ai mondiali inglesi). Partecipa alla tragi-comica spedizione inglese della nazionale ai campionati del Mondo del 1966, dai quali l’Italia fu estromessa per opera della Corea del Nord del dentista-bomber Pak Do Hik.
Giocatore estroso, elegante e agilissimo, con una grande capacità nel dribbling, un’ottima visione di gioco e un buon senso del gol. Aveva una marcia in più rispetto agli avversari che spesso, frustrati dalle sue ripetute finte e contro-finte, erano costretti ad atterrarlo in area di rigore; indubbiamente una delle ali destre più talentuose che abbiano mai calcato i campi di serie A. Un suo fantastico gol, un pallonetto di interno destro a girare finito proprio sotto l’incrocio dei pali, interruppe la serie positiva della grande Inter del mago Helenio Herrera che durava da tre anni.
Gigi era soprattutto un anticonformista, amava portare capelli lunghi e barba folta, ascoltava i Beatles e coltivava un’energica passione per la pittura e per la musica jazz. Fu un precursore in termini di look, anticipando tendenze e mode degli anni a venire; forte di una grande sensibilità artistica, si disegnava abiti e cravatte; caratteristici del suo stile erano gli inseparabili occhiali a goccia. Un atteggiamento questo, una disposizione nei confronti della vita che gli provocò le inimicizie della stampa e l’indignazione dei benpensanti, rappresentanti di un’Italia "bigotta e bacchettona", poco incline a tollerare personaggi eccentrici e comportamenti stravaganti. A completare il quadro l’immancabile femme fatal,la splendida Cristiana, ragazza italo-polacca che, per amore di Gigi, abbandonò il marito; la convivenza dei due innamorati nella mansarda in pieno centro di Gigi causò scandali e indignazioni collettive. Il sommo Gianni Brera scrisse di lui: «Fu simbolo di estri bizzarri e libertà sociali in un paese di quasi tutti conformisti».
Difficilmente accettava schemi e regole predefinite, tanto che accettò di tagliarsi i capelli solo in occasione della prima convocazione in azzurro; quando poi il commissario tecnico Fabbri gli chiese una seconda volta di sistemarsi la folta chioma lui si rifiutò, affermando di aver già dimostrato di saper giocare a pallone anche con i capelli lunghi. Forse questo contribuì alla decisione di Fabbri di impiegarlo con il contagocce durante i mondiali inglesi. La stampa fu sempre ostica con lui, per usare un eufemismo, definendolo "zingaro", "vagabondo", "squallido personaggio" e lo attaccò ingiustamente per l’eliminazione dell’Italia dai mondiali del 1966, dal momento che venne lasciato in panchina per tutta la durata dell’incontro con la Corea. I tifosi lo amavano comunque alla follia, tanto da organizzare una vera e propria sommossa popolare per impedire il trasferimento di Gigi agli acerrimi rivali cittadini, quando il passaggio alla Juventus sembrava ormai inevitabile (l’Avvocato Agnelli offrì mezzo miliardo per l’acquisto del giocatore).
Un ragazzo estroverso, che sapeva anche sdrammatizzare le grandi pressioni e le cattiverie a cui lo sottoponeva la stampa con alcune trovate geniali, come quando si fece fotografare con una gallina al guinzaglio per le strade di Como, perché la stampa potesse scrivere qualcosa su di lui, oppure quando si prese gioco del paron Nereo Rocco, suo allenatore al Toro, presentando la fidanzata Cristiana come sua sorella e introducendola così senza alcun impedimento nel ritiro della squadra. Il paron era solito chiamare Gigi «quel mona d’un Beatle»; tra gli altri soprannomi ricordiamo "Calimero", "Il quinto Beatle", "il George Best italiano" e "la farfalla granata" (titolo della biografia di Gigi Meroni scritta da Nando Dalla Chiesa).
Gigi non ha abbandonato la sua passione per il calcio, dal momento che tuttora è solito giocare interminabili partite sui campi di Futbolandia, dove fa diventare matti i difensori con le sue discese sulla fascia e i suoi dribbling funambolici.

5 commenti:

Fabio Disingrini ha detto...

Ringrazio vivamente Paolo -il sesto Beatle- per l'emozionante e accurata prosa dedicata a Luigi Meroni, esortandolo a nuove puntuali e preziosissime collaborazioni.

Anonimo ha detto...

Complimenti al grande vecchio cuore granata...

Paolo

Anonimo ha detto...

Ma che sesto Beatle!!!
Il Pego è il terzo Oasis!!!

Ciaaaoooo!!!!

Anonimo ha detto...

Altro che sesto Beatle o terzo Oasis: secondo me Pego è il primo chula!!!

ps ma Meroni è quello dei salumi? (meronetto eh eh, gran delizia oh oh...)

No dai a parte gli scherzi, ti meriti un plauso caro Pego!

Sergio

Anonimo ha detto...

beppe beppe,
la finisci di dire scemate???
troppo forte: il terzo OASIS...